Si avvicina l’appuntamento con la 49ª Settimanale sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Taranto dal 21 al 24 ottobre. Nel tema “Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”, anche se non sono esplicitamente citate le nuove generazioni, ogni aspetto può essere declinato dal punto di vista dei giovani. Essi che sono particolarmente attenti ai temi dell’ambiente, che non sanno se ci sarà lavoro per loro, che sono o, almeno, dovrebbero essere i protagonisti del futuro.
Ne parliamo con Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Cosa può dire questa Settimana ai giovani e che contributo può portare per il loro futuro?
I giovani, tanto più in questo momento storico di grande incertezza, hanno bisogno di segnali positivi e incoraggianti verso di loro e i temi che riguardano il loro futuro. E, tanto più in questa fase in cui il Paese sta cercando di mettere le basi di un nuovo percorso di sviluppo, le nuove generazioni hanno bisogno di interlocutori autorevoli e affidabili che aiutino a capire i cambiamenti in atto per intravedere un loro ruolo attivo e positivo.
Un aspetto di grande rilievo è la necessità dei giovani di orientarsi nella complessità inserendo le proprie scelte formative, professionali e di vita in un contesto che aiuti a dare senso e a generare valore personale e condiviso. Dalla Settimana sociale possono quindi arrivare riflessioni e indicazioni importanti per aiutare sia il Paese sia i giovani a orientare, assieme, al meglio le proprie scelte. Aggiungo che un bel segnale è anche il fatto che si faccia nel Sud Italia.
A loro volta i giovani come possono essere protagonisti della Settimana sociale di Taranto? Sono portatori di quale interesse? C’è un loro ascolto? Come renderli protagonisti e responsabili del futuro anche nel nostro mondo?
Per rispondere parto dal titolo della Settimana sociale. Vengono elencati temi che stanno al centro delle sfide che riguardano il mondo, l’Europa e l’Italia. Ma si sottolinea anche che #tuttoèconnesso. Il che rimanda all’idea che non si possa parlare di uno di essi senza chiamare in causa anche gli altri temi. Ovvero serve una visione sistemica, non ipersemplificata, del mondo che cambia e delle risposte per trasformare il cambiamento in miglioramento.
Ma nessun miglioramento è davvero possibile se non con le nuove generazioni e nella direzione del miglioramento della loro capacità di essere e fare. Le nuove generazioni, oltre che ponte tra presente e futuro, vanno, infatti, considerate i principali agenti di connessione tra il lavoro dignitoso, da un lato, e il contributo qualificato alla transizione verde. In proposito vorrei citare uno studio.
Ci dica…
Una ricerca promossa dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo in collaborazione con Sofidel, a partire dai dati di un’indagine condotta da Ipsos lo scorso giugno, evidenzia come il desiderio dei ventenni sia quello di trovare valorizzazione personale, anche economica, con preferenza però per aziende che mostrino un impegno positivo verso l’ambiente e l’impatto sociale. Se si conferma, infatti, al primo posto la preoccupazione per il reddito (concorda il 64%), al secondo posto si trova l’importanza che il lavoro offra “un’occasione per dare il tuo contributo nel mondo”, in un’azienda con valori che si condividono (60%).
Sono risultati interessanti…
I giovani sono consapevoli che non si tratta solo di difendere il pianeta. C’è un nuovo modello sociale e di sviluppo da costruire, con meno squilibri e più sostenibile, che ha bisogno del protagonismo responsabile delle nuove generazioni. I membri delle nuove generazioni devono, soprattutto, essere messi nelle condizioni di aggiungere valore con la propria novità, accendendo il proprio sguardo originale sul mondo e offrire soluzioni inedite alle sfide del proprio tempo.
Come i giovani possono contribuire al cambiamento in un’Italia sempre più segnata dalla crisi demografica?
I giovani vanno aiutati a porsi al centro delle transizioni che riguardano le loro vite e la fase di sviluppo del Paese.
La transizione demografica, andando ad alterare il rapporto tra generazioni, richiede un aumento della valorizzazione del capitale umano specifico dei giovani. Ma tale investimento è anche uno dei fattori principali per migliorare la transizione scuola-lavoro. Che a sua volta è parte centrale della transizione alla vita adulta. E dal cui successo dipendono le scelte di autonomia, avvio di una propria famiglia e genitorialità (quindi anche sulle dinamiche demografiche).
Serve però anche un miglioramento delle politiche attive, non solo per la transizione in entrata ma anche per orientarsi nelle transizioni da un lavoro all’altro. Infine, è soprattutto dal ruolo attivo dei giovani, dalla formazione di competenze adeguate per la vita e il lavoro, dalla valorizzazione delle loro abilità e sensibilità, che la transizione verde e la transizione digitale possono diventare le rotaie principali di un Paese che ritorna a correre.
Il Pnrr apre delle possibilità concrete di crescita, sviluppo e futuro migliore per i nostri giovani?
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza steso del Governo italiano è ambizioso. E contiene molte proposte condivisibili in generale sul lato del lavoro, delle politiche attive, della transizione digitale e verde. Molto dipenderà da come effettivamente verrà realizzato. Ci sono però dei limiti di impostazione. I termini “squilibri” e “transizione” appaiono spesso nel testo, ma mai in relazione agli squilibri demografici e alla transizione alla vita adulta.
Manca in corrispondenza degli obiettivi sui percorsi formativi e professionali dei giovani l’integrazione con le scelte di vita. In particolare, gli obiettivi di vita (autonomia e formazione di una propria famiglia) non vengono presi in considerazione nelle azioni di miglioramento della condizione delle nuove generazioni. Si tratta di un limite culturale all’interno dell’impostazione delle politiche che la Settimana può aiutare a mettere in luce e, per quanto possibile, compensare.
Gigliola Alfaro