Un applauso particolare, spontaneo e sentito ha accompagnato l’espressione “Qui o si fa la Sicilia o si muore”. Una frase che ha esposto ideologie ed intenzioni, figlie della prima metà del novecento, riguardanti la Sicilia e Salvatore Giuliano.
Parole pronunciate in scena, seguite da molte altre scandite dalla voce, dall’espressione del volto e del corpo del giovane Diego Cannavò, che del bandito ha incarnato i tratti e l’impeto orgoglioso. Lui ed altri 32 attori, per lo più giovani, ovvero il cast del Centro Studi Artistici di Acireale, domenica 7 aprile, hanno messo in scena al teatro Metropolitan di Catania La vera storia del bandito Giuliano.
A idearla e dirigerla il regista Carmelo Cannavò, anche attore di teatro e di televisione, che venti anni addietro ha segnato il suo debutto proprio su quel palco, come lo stesso ha raccontato. La sua scelta di far rivivere i fatti caratterizzanti il tentativo “di Indipendenza” siciliana ha privilegiato gli aspetti inerenti al quotidiano, ai valori, al sentimento, al forte senso dell’appartenenza all’isola da sempre sfruttata, quasi come una colonia.
Ecco sul palcoscenico i valori dettati dalla presenza di uomini di fede, come padre Di Bella, interpretato da Carmelo Di Salvo, che teneva uniti i ragazzi, impegnandoli in varie mansioni, pur di allontanarli dal compiere azioni scorrette. “Solo il sapere può risollevare il contadino dalla sua misera condizione”, lo stesso sottolineava, mentre tra lui e Salvatore era un passaggio continuo di testi di lettura, che forgiavano il ragazzo. L’unione della famiglia in evidenza, in cui la madre fungeva da collante tra i suoi componenti e dava loro dolcezza ed attenzioni. La mamma di Turiddu, Mirella Petralia, afferma di “essere ricca”, per la presenza dei suoi figli.
Un teatro che affronta una tematica storica, ma che non prescinde dal trattare l’aspetto umano dei personaggi. Così un giovane Turiddu, David Cannavò, racconta il modo sincero di esprimere il primo sentimento d’amore tramite una missiva e ancora lo conferma, qualche anno dopo, quando canta la serenata alla sua Maria. La musica di Michele Romeo è un connubio con la recitazione ed è quasi “personificata” nella figura di Cola, dallo stesso interpretata, che compare in modo tacito e silenzioso in alcune scene, quasi a siglarne la presenza. Le proiezioni arricchiscono le vicende ricreate, con il videomappingdi Andrea Ardizzone, ben inserito nelle coreografie di Rossella Madaudo.
Un teatro che dà voce anche a personaggi messi ai margini della società, come l’ubriaco Iano, Carmelo Cannavò, che, con il suo personale modo di narrare le vicende storiche, contribuisce alla loro divulgazione tra i compaesani. La compagnia ha interpretato le gesta di Salvatore Giuliano come quelle di un giovane dalle origini semplici, che, per una combinazione di sfortunati eventi, diventa fuorilegge ed il suo nome si intreccia in episodi specifici: il rapporto con il movimento indipendentista ed il ruolo svolto nell’Evis, la sua facile strumentalizzazione da parte dei movimenti politici di turno, il suo codice d’onore, etc. Ed il teatro regala ancora umanità a Turiddu, soprattutto nel momento in cui la sua sicurezza traballa in prospettiva di un possibile tradimento. Nel brindisi finale che fa con il cugino Gaspare Pisciotta, interpretato da Rosario Rizzo, afferma “per la vita e per la morte”, mostrando di accettare la fine presagita.
Rita Messina