L’otto marzo ricorre la Giornata internazionale per i diritti delle donne e vorremmo riportare le parole di un’importante scrittrice italiana, Dacia Maraini, che abbiamo avuto la possibilità di intervistare lo scorso gennaio, presso l’istituto comprensivo Paolo Vasta di Acireale, in un incontro con le scuole, organizzato dall’amministrazione comunale acese.
Proponiamo quella conversazione in questa data per far ricordare parole che, per tutte le donne e non solo, dovrebbero risuonare come monito da tenere sempre a mente.

Dacia Maraini è una delle voci più influenti della letteratura italiana contemporanea. La sua biografia è segnata da eventi come la prigionia nell’infanzia in un campo di concentramento giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma anche il suo impegno politico e sociale in età adulta, la vicinanza a figure di spicco del panorama italiano come Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, hanno plasmato la sua visione del mondo ed influenzato la sua scrittura, consacrata da sempre ad esplorare le complessità dell’animo umano, con uno sguardo particolare alle dinamiche legate alle ingiustizie sociali e alle sfide affrontate dalle donne.
Dacia Maraini / L’intervista
Dacia Maraini, lei durante la sua carriera si è battuta molto per raccontare l’emancipazione femminile, le battaglie delle donne, la lotta al patriarcato, in un mondo dove ci sono molte tensioni. Quanto sono diventate importanti le voci narranti delle donne?
Penso che le voci femminili di cui parliamo e che pretendono uguaglianza di diritti, per esempio sul lavoro, siano sintomo di una grande apertura. Molte professioni, per esempio, che prima non erano aperte alle donne, lo sono diventate solo di recente. Tant’è che manca anche il corrispettivo del nome al femminile per questi determinati lavori.
Purtroppo ci sono alcuni uomini fragili, che esprimono la loro debolezza pretendendo il possesso su una donna e, quando questo “possesso” viene messo in crisi, spesso perchè le donne vogliono maggiore indipendenza, questo tipo di uomini si trasformano in assassini. È un fatto culturale per questa tipologia di persone perché vedono nella voglia di indipendenza delle donne un pericolo.

Oggi, che viviamo in un clima di costante incertezza, quanto le parole possono salvarci?
Penso che le parole al servizio della ragione, unite ad una riflessione, possano essere uno strumento di salvezza. Credo che le distorsioni politiche, sociali si combattano con la riflessione e con il confronto e proponendo argomenti. Sono contraria alla denigrazione dell’avversario, perchè non porta a nulla: bisogna avere argomenti per affrontarlo.
Perche secondo lei oggi non ci sono argomenti?
Perchè c’è una moda dell’insulto e della denigrazione. È un momento in cui il linguaggio dell’insulto e delle volgarità sono passati per legittimi e penso che i social abbiano molta responsabilità in questo.
Il suo rapporto con la Sicilia è un rapporto atavico?
È un rapporto certamente atavico, per via delle mie origini. In Sicilia ho vissuto per otto anni, conosco il dialetto, ho scritto della Sicilia, l’ho raccontata, sebbene io adesso viva a Roma. Mi piace la Sicilia, ho stima di alcuni siciliani, ma ci sono chiaramente della cose della Sicilia che mi danno fastidio e che non mi piacciono.
Giulia Bella