(22-3-2013) Un incontro che “vuole essere idealmente l’abbraccio del Papa al mondo”. Così il Papa, accolto al suo ingresso da un caldo applauso, ha definito l’udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, svoltasi oggi nella Sala Clementina.
Agli ambasciatori, ha sintetizzato subito il senso della missione della Chiesa nel mondo: “È questo che sta a cuore alla Santa Sede: il bene di ogni uomo sulla terra”, ha rivelato, ringraziando alla fine del suo discorso – durato meno di dieci minuti – gli ambasciatori per il lavoro che svolgono, “insieme alla Segreteria di Stato, per costruire la pace ed edificare ponti di amicizia e di fraternità”. Ad oggi, sono 180 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, a cui vanno aggiunti l’Unione europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una missione a carattere speciale: l’Ufficio dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).
“Quanti poveri ci sono ancora nel mondo! E quanta sofferenza incontrano queste persone!”, ha detto il Papa ritornando a spiegare i motivi della scelta del nome Francesco, “una personalità che è ben nota al di là dei confini dell’Italia e dell’Europa e anche tra coloro che non professano la fede cattolica”. Tra i “vari motivi”, ha informato il Papa, “uno dei primi è l’amore che Francesco aveva per i poveri”. “Sull’esempio di Francesco d’Assisi – ha ricordato Papa Francesco – la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste”.
L’altra povertà. “Ma c’è anche un’altra povertà”, ha detto il Papa: “È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la ‘dittatura del relativismo’, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini”. Di qui il secondo invito del Papa, che corrisponde alla “seconda ragione” della scelta del suo nome: “Lavorate per edificare la pace!”. “Ma non vi è vera pace senza verità!”, ha ammonito il Papa unendo le due povertà: “Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra”.
Costruire ponti. “Uno dei titoli del Vescovo di Roma – ha ricordato il Papa – è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini”. “Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini – l’auspicio di Papa Francesco – così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare!”. Poi un cenno alla provenienza della sua famiglia: “Le mie stesse origini mi spingono a lavorare per edificare ponti. Come sapete la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi d’incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità”. “In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione”, ha affermato il Papa.
Intensificare il dialogo. “Non si possono costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio. Ma vale anche il contrario: non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri”, una delle affermazioni centrali del discorso di oggi. Per questo “è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni”, ha spiegato il Papa, citando “anzitutto” il dialogo con l’Islam. “Ho molto apprezzato la presenza, durante la Messa d’inizio del mio ministero, di tante autorità civili e religiose del mondo islamico”, ha rivelato il Papa, secondo il quale è altrettanto “importante intensificare il confronto con i non credenti, affinché non prevalgano mai le differenze che separano e feriscono, ma, pur nella diversità, vinca il desiderio di costruire legami veri di amicizia tra tutti i popoli”.
I tre imperativi. “Lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale; edificare la pace e costruire ponti”. Con questi tre imperativi il Papa ha concluso il suo discorso al Corpo diplomatico. Tre imperativi, ha spiegato, che “sono come i punti di riferimento di un cammino al quale desidero invitare a prendere parte ciascuno dei Paesi che rappresentate”. “Un cammino difficile però, se non impariamo sempre più ad amare questa nostra Terra”, ha ammesso il Papa. “Anche in questo caso – ha confessato con accenti intimi – mi è di aiuto pensare al nome di Francesco, che insegna un profondo rispetto per tutto il creato, il custodire questo nostro ambiente, che troppo spesso non usiamo per il bene, ma sfruttiamo avidamente a danno l’uno dell’altro”.
(Fonte: SIR)