Società / Don Barbarino: “La mia esperienza con i ragazzi del liceo di Bologna””

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ragazzi ospitati

Il 18 aprile scorso, Lunedì dell’Angelo, Papa Francesco, in occasione dell’evento denominato #Seguimi, agli oltre ottantamila adolescenti riuniti in piazza San Pietro ha pronunciato queste parole: “Voi avete il fiuto di trovare il Signore, il fiuto della verità. Vi auguro di aver il fiuto di Giovanni, ma anche il coraggio di Pietro. Pietro era un po’ speciale: ha rinnegato tre volte Gesù, ma appena Giovanni, il più giovane, dice: ‘È il Signore’, si butta in acqua per trovare Gesù”.

È ascoltando queste parole – l’augurio a non perdere il fiuto, talento peculiare dell’età giovanile –  che, come un lampo, è riemersa alla mia memoria una straordinaria esperienza in cui ho potuto “toccare con mano” il fiuto dei giovani a cui si riferisce papa Bergoglio.

Correva verosimilmente l’anno 2006, io ero sacerdote della parrocchia “San Paolo Apostolo” in Acireale. Sole cocente e asfalto ardente facevano da protagonisti di una tipica estate siciliana che non prospettava nulla di diverso dal solito. Ma mi sbagliavo di grosso!

Ero in sacrestia, quando mi raggiunse una telefonata, risposi e dall’altro lato della cornetta mi si presentò una giovane voce maschile. Era un ragazzo di Bologna che, con modi molto garbati, a nome dei suoi compagni di classe e di corso, mi chiedeva ospitalità, per un breve periodo, nei locali della parrocchia.
“Non arrecheremo nessun disturbo – si premurò a dirmi – necessitiamo solo di un posto tranquillo in cui pernottare. Una semplice stanza vuota dove poter stendere gli stuoini, un punto d’acqua, e la possibilità di fare la doccia. Ci siamo organizzati per una esperienza di alcuni giorni e ci muoveremo con molta libertà”.

chiesa san paolo
Nella sua parrocchia San Paolo, don Barbarino ospitò i ragazzi di Bologna

L’accoglienza nella parrocchia San Paolo dei ragazzi di Bologna

Non esitai a rispondere affermativamente alla domanda, raccogliendo a mani grate e sapienti, al pari di un prezioso meteorite, un’esperienza profondamente significativa che ha avuto e continua ad avere, ancor oggi, la forza dirompente delle cose vere e importanti.

Quando i ragazzi arrivarono, li accolsi con grande attenzione e nello stesso tempo con innegabile curiosità. Erano tredici studenti, ragazzi e ragazze, del secondo, terzo e quarto anno del Liceo Classico di Bologna “Marco Minghetti”.
Mi colpirono subito alcune cose: erano uomini e donne; non erano venuti in Sicilia per una semplice vacanza, ammirandone la sola bellezza paesaggistica.
Volevano conoscere la gente di Sicilia, le loro abitudini, e per tale ragione privilegiavano spostarsi tra i vari luoghi a piedi. O viaggiare in corriera o in treno cogliendo così l’opportunità di incontrarli nella loro quotidianità, e scambiando con loro qualche parola.

Erano ragazzi e ragazze della Bologna bene che si sarebbero potuti permettere una vacanza in alberghi di lusso. E, invece, avevano scelto di vivere, quasi, da proletari di un tempo.
Erano finemente organizzati, ognuno di loro era insignito di compiti precisi. Chi definiva l’itinerario calcolando distanze e orari, chi si occupava della gestione economica, chi delle vettovaglie etc. Come se fossero tutti in missione speciale o per assolvere a un compito importante che qualcuno aveva loro affidato.

convegno Zafferana
Zafferana, convegno organizzato nel 1985 dalla comunità Tra i tempi. Sono riconoscibili da sin. Salvo Cacciola, oggi sociologo, padre Barbarino, mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra e mons. Matteo Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna

I ragazzi di Bologna, semplici studenti del liceo “Minghetti”

Prima di scoprire la verità su quella esperienza così affascinante e misteriosa, tra me e me mi ero detto: “questi studenti devono appartenere a qualche movimento o associazione importante presente in Italia come Scouts, Comunione Liberazione, Comunità Sant’Egidio, Azione Cattolica, Focolarini. O aderenti a qualche associazione giovanile di Partito”.
E invece, poi, confrontandomi con loro, capii che erano semplicemente studenti di liceo, credenti e non credenti, lontani dalla vita, per esempio, di una parrocchia viva della città. Erano lì esclusivamente per una esperienza culturale del tutto particolare.

Questi giovani del liceo classico “Marco Minghetti” di Bologna, erano stati conquistati e affascinati dall’insegnamento del tutto specialissimo del loro professore di Filosofia.
Fu proprio lui che li coinvolse nella lettura dei classici sul fenomeno mafioso in Sicilia, dalla lettura di Sciascia, Vittorini, Cunsolo, Tommasi di Lampedusa, Verga e Bufalino. E dopo spiegò loro che, per poter comprendere a fondo un fenomeno come la mafia, è necessario lasciare i libri sul banco.  “Scendere” in Sicilia, ascoltare la gente del posto, conoscerla meglio attraverso l’osservazione diretta dei loro comportamenti, nel rapporto con la vita della città e del paese. Scegliendo di aspettare pazientemente la corriera che – per esempio – non passa quasi mai in orario. O di annotare il livello di cittadinanza attiva, attraverso la pulizia e il decoro dei paesi e del funzionamento dei servizi essenziali del vivere come cittadini sovrani.

L’esperienza coi ragazzi di Bologna

Una esperienza come questa, se non la si conosce nessuno la potrebbe immaginare!
Per questo motivo ne ho fatto memoria, perché con essa ho ricevuto un dono e ne voglio fare dono ad altri.
Se l’Italia non sprofonda è perché ci sono insegnanti come questo, non famoso, professore di filosofia che ha saputo piantare nel cuore dei suoi alunni il seme della conoscenza. Il seme della ricerca, dello stupore, che chiede di essere coltivato con cura, creatività e amore. Così come hanno fatto lodevolmente e profeticamente quei giovani del liceo “Minghetti” di Bologna.

Invece, capita di osservare, con grandissimo rammarico, che tutto è diventato liquido, inconsistente, noioso e ciò per l’assenza dei veri maestri, come Milani, La Pira, Mazzolari, Weil, Hillesum.  E per quella emergenza educativa alla quale, ahimè, si dà pochissima, reale attenzione.
Si naviga velocemente e a vista nel mare della superficialità, si vuole immediatamente raggiungere la metà senza scali mentre, ritengo, sarebbe bene “fare tappa”, gettare le ancore. Così da poter esplorare e scandagliare i fondali, luoghi ricchi di tesori che nascondono i germogli della conoscenza più originale!

liceo Gulli e Pennisi Acireale
La classe di don Orazio Barbarino ( il secondo  da sin. nella fila in alto) al liceo Gulli e Pennisi di Acireale

Insegnare ai giovani la pace, la conoscenza e la convivenza

Quel che è peggio, è che non tutti hanno chiaro che il primissimo compito d’oggi è di educare sul serio i più giovani alla conoscenza e alla convivenza pacifica, senza sconti e senza scimmiottature, nelle scuole, nelle famiglie e nelle parrocchie. Per fronteggiare antichi e nuovi problemi, c’è bisogno di luoghi dove si “insegni” la pace, la conoscenza, la convivenza. Così ha ricordato Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità Sant’Egidio di Roma, nell’Editoriale di Avvenire del 21 aprile.

Le manifestazioni di piazza ci vogliono, le marce sono sacrosante, ma se manca lo zoccolo duro, rappresentato dall’opera educativa quotidiana per testimonianza autorevole di educatori nei luoghi preposti e sul territorio, sui campi trasversali, tutto ritorna ad essere liquido ed inconsistente, tutto rischia di essere una bolla di sapone, nuvole di incenso e di chiacchiere!

L’incontro con i ragazzi di Bologna ha avuto per me l’effetto di un grande rimbombo. Di un richiamo fortissimo, nella mia memoria, agli anni nei quali, insieme a tanti altri, avevo dato inizio ad un’avventura che sussiste ancora. E che è quella della Comunità “Tra i tempi”, di via Genuardi ad Acireale. La Comunità “Tra i tempi” è stata il luogo dove il fiuto si è fatto vita e cammino. E che ancora oggi, dopo ben oltre 45 anni, se ne sperimenta la forza!

Nella bottega del Cimabue arrivò un giovane di nome Giotto, che ebbe la fortuna di conoscere un eccelso maestro di pittura e non solo. Perché il giovane pittore, oltre al Maestro, conobbe un uomo maturo e speciale, quale fu il Cimabue, che senza gelosie, gli trasmise la tecnica. E gli permise di esprimere il suo talento e di diventare così il Giotto che tutti conosciamo.

Nei Vangeli, così, allo stesso modo, apprendiamo che la Vita si fa vita con altri, in un coinvolgimento che non ha fine. Fin quando non si diventa uno con il Maestro Gesù, perché – è scritto – “senza di me non potete far nulla”. (Gv. 15,5)


Don Orazio Barbarino
Arciprete di Linguaglossa