Il 30 aprile, per volontà di Papa Francesco e su richiesta della Congregazione per la causa dei Santi, Armida Barelli, fondatrice dell’ACI e cofondatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, insieme a Padre Agostino Gemelli, è stata proclamata “Beata”.
Ho conosciuto Armida Barelli sin da bambina, quando nella mia Parrocchia ho ricevuto la tessera di Piccolissima, poi quella di Beniamina, di Aspirante, man mano che crescevo. Era l’anno santo 1950, quello della mia prima tessera, nella grande Associazione Cattolica Femminile, fondata da qualche decennio da questa donna straordinaria.
Era il giorno di ferragosto 1952, mentre per noi ragazze si teneva un campo estivo presso l’Istituto Maria Ausiliatrice delle Suore Salesiane di san Giovanni Bosco, a Leonforte, mio paese natale, quando dalla voce della mia Presidente Diocesana della GF, una giovane maestra di Agira, apprendemmo che dopo mesi di sofferenza, era morta la “Sorella maggiore” per cui noi avevamo tanto pregato.
Ricordo la voce commossa e il volto trasfigurato della mia Presidente e rivivo quell’emozione nell’apprendere la notizia.
Ero un’Aspirante dell’AC, avevo appena 9 anni, avrei voluto incontrare ancora in vita la Fondatrice di quella aggregazione che permetteva a me e a tante altre mie coetanee di vivere insieme gioiosamente delle giornate di formazione e di ricevere un giornalino mensile che ci comunicava tante notizie sul papa, sull’ associazione e sulle attività delle altre sedi che avevano vita in Italia.
Armida Barelli avrebbe cambiato la società del tempo
Non l’avrei mai conosciuta di presenza, ma le foto che giungevano attraverso il giornale e le attività che si svolgevano in tutta Italia, mi facevano pensare a lei come una donna straordinaria, che aveva saputo inventare un movimento così vitale e tanto coinvolgente, che poteva cambiare la società del tempo.
Eravamo nei primi anni del dopoguerra. Due guerre mondiali avevano distrutto e devastato tanti territori nella nostra povera regione. Tanti dei nostri conterranei erano morti per difendere la patria. Padri di famiglia, giovani ancora poco più che ventenni, non erano più tornati a casa. Anche mio padre era stato in guerra. Non c’era quando io sono nata. Io l’ho visto per la prima volta quando avevo già due anni e mezzo.
Ora andavo a scuola, la vita sembrava tornata normale, essere accompagnati nella crescita da un gruppo organizzato a livello nazionale era molto bello. Mi faceva sognare. Anch’io avrei voluto conoscere il Papa, andare a Roma, incontrare le altre Aspiranti, le Dirigenti che scrivevano per noi il giornalino. E visitare la Casa della Gioventù Femminile che era a Roma, la Domus Mariae, ove si poteva anche essere ospitati durante il soggiorno romano.
E poi c’erano le giornate per l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. In Parrocchia, la seconda domenica di Pasqua, raccoglievamo le violette, facevamo mazzolini e deposte su un bel vassoio d’acciaio inossidabile o su un cestino di vimini, andavamo per tutto il Corso Umberto. Dalla Matrice, si percorreva, per qualche chilometro, tutto diritto, l’intero paese, la mia Leonforte. Offrivamo le nostre violette a quanti passeggiavano, lungo il corso, in quelle domeniche primaverili. Erano i giovani universitari, i vari professionisti che s’incontravano nel Circolo dei Nobili, che aveva la sua sede nel centro storico di Leonforte.
Sognando l’Università Cattolica…
Era la Piazza Margherita, rotonda come un cerchio perfetto, luogo d’incontri e di feste cittadine. Tornavamo con il vassoio vuoto e con le offerte che ci venivano date con generosità dai nostri concittadini che apprezzavano il progetto di una Università Cattolica, mentre da parte dei tanti comunisti che governavano il mio Comune ci scontravamo con discussioni animate e talvolta venivamo prese in giro.
Ma noi non ci scoraggiavamo, di anno in anno, ripetevamo l’esperienza e sognavamo anche noi di poter frequentare quella Università un giorno.
Ricordare in questi giorni il mio cammino formativo con l’Azione Cattolica è per me motivo di gratitudine profonda verso questa donna, che mi ha trasmesso – attraverso la mediazione delle tante persone che l’hanno collaborata e seguito le sue indicazioni – dei valori e dei metodi per vivere bene, che ancora oggi mi accompagnano e mi restituiscono nuove energie.
Armida Barelli, come una “sorella maggiore”, mi ha insegnato che ogni vita umana ha un valore insostituibile, in quanto unico e portatore di creatività e genialità personali, che possono contagiare ma mai ripetersi in maniera identica. Ogni persona ha un suo compito e un ruolo nella vita che non può essere sostituito da alcun altro. Perciò, ognuno deve fare la sua parte. Se non la fa resta un vuoto per sempre.
Nel vivere la propria vita e sviluppare adeguatamente i propri talenti bisogna osare, bisogna avere il coraggio di rischiare e di giocarsi tutte le proprie potenzialità per il bene soggettivo (la realizzazione di sé) e quello oggettivo (il bene comune). Se nessuno osa per paura di fallire o per non sentirsi giudicare dagli altri, la società non progredisce, non si creano interscambi culturali e sociali, non c’è emulazione né sviluppo.
Gli insegnamenti di Armida Barelli
La speranza, che costituisce la forza che viene dalla fiducia. Armida si fida del Sacro Cuore e a Lui affida ogni suo gesto, ogni suo progetto, ogni sua volontà. Ma si fida anche delle persone che incontra e le invita a collaborare per realizzare quel sogno che lei ha in cuore. Crea così un movimento ininterrotto di preghiera, di attività, di novità che nell’Italia di fine 800 e della prima metà del 900 era impensabile.
Le donne non solo non studiavano ma non uscivano nemmeno da casa se non accompagnate. Non parlavano in pubblico e – talvolta – nemmeno a casa con i loro genitori, se non per obbedire. Per loro non c’erano ruoli pubblici dove esercitare la creatività e il loro genio femminile. Non contavano se non per essere accompagnate a nozze, combinate. Pesava mantenerle e provvedere alle loro esigenze vitali, ma pesava soprattutto provvedere alla dote – elemento indispensabile – per poter convolare a nozze.
Tutto questo e tanto altro ha trasformato e rivoluzionato in modo intelligente e dignitoso, senza ricorrere a violenze e disobbedienze clamorose. Con la formazione delle coscienze, ha reso le donne consapevoli e istruite. Perché la conoscenza è alla base di ogni scelta, anche la più semplice o banale.
Posso dire che alla scuola di Armida Barelli, ciascuno può imparare: la speranza, a partire dalla fiducia che si ripone in se stessi. La creatività, come qualità esclusiva e identificativa della persona. Il coraggio di osare, quando si è convinti che qualcosa di buono può nascere dal nostro pensiero intelligente ed onesto, a favore della società intera.
Teresa Scaravilli