Stragi di mafia / Analogie Sicilia-Usa, “Capaci” di non dimenticare

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attentato Capaci

Il 1992 è passato drammaticamente alla storia con il suo carico di stragi di mafia, tra cui Capaci, e di morte. Un incubo materializzatosi tramite gli attentati mortali ai danni dei due magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, massimi protagonisti della lotta alla mafia e dei giovani agenti che componevano, con grande spirito di sacrificio e coraggio, le rispettive scorte. Questo articolo vuole essere un ricordo, un omaggio, una speranza e un commosso attestato di stima e riconoscenza verso chi ha sacrificato la vita in nome degli ideali di legalità e giustizia.

Mafia / La prima strage a Capaci

La prima strage ebbe luogo a Capaci, il 23 maggio 1992. Un carico di 500 kg di tritolo fece esplodere la vettura su cui viaggiavano Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo. L’attentato di stampo mafioso uccise anche gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari. La seconda strage, quasi due mesi dopo, ha luogo in via D’Amelio, sotto l’abitazione della madre del giudice Paolo Borsellino, tramite lo scoppio di un ordigno nascosto in una Fiat 126. Questo vile attacco uccide il giudice Borsellino e i suoi cinque agenti: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Sia Falcone che Borsellino erano consapevoli del fatto che la loro azione anti – mafia avrebbe provocato reazioni di drammatica portata nelle proprie vite. Ma ormai la loro era divenuta una missione da portare a compimento a qualsiasi costo, persino della loro stessa vita. Personalità dotate di un senso del dovere talmente elevato da arrivare a tollerare la limitazione della libertà individuale inevitabilmente prodotta dalla presenza della scorta, fino al sacrificio estremo delle loro vite per mano di spietati criminali.

I giudici Falcone e Borsellino
I giudici Giovanni Falcone (a sin.) e Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia un mese dopo

Analogie tra Palermo e Dallas

Le stragi di Palermo ci rimandano, sulla base della loro brutalità, all’altrettanto tragico assassinio del Presidente USA John Fitzgerald Kennedy, a Dallas, il cui movente non è mai stato chiarito. Non sono mai stati identificati neanche i mandanti. Totò Riina, mandante dei due attentati di Palermo, guardò tuttavia a Carlos Marcello, mafioso italiano naturalizzato statunitense, come fonte d’ispirazione per la sua idea di criminalità. Riina, così come Marcello, era certo che tenendo lo Stato sotto ricatto e isolando l’obiettivo, potesse farla franca. La Magistratura, infatti, si rese colpevole di aver isolato il giudice Falcone ma Totò Riina scontò, in seguito, col 41 Bis ideato dal medesimo giudice, la sua condotta criminale. Il 41 Bis prevedeva misure di detenzione speciali volte ad impedire ogni contatto dal carcere con l’esterno.

Pool antimafia, le origini  

Nell’invenzione del pool antimafia, il giudice Falcone prese ispirazione da Robert Kennedy, fratello del grande Presidente statunitense John Kennedy. Egli infatti, appena proclamato Attorney General ( l’equivalente del nostro Ministro della Giustizia ) dal fratello, incentrò il suo programma sulla lotta al crimine organizzato. Idee e strategie che furono fonti inesauribili d’ispirazione; persino il primo collaboratore di Giustizia parlava americano. Si trattava di un certo Joe Valachi, lo stesso che per primo parlò di “ Cosa Nostra “. Un Tommaso Buscetta di venti anni prima.

Affinità etico – morali tra John Kennedy e Giovanni Falcone

Affinità morali, dense di dignità ed etica umana e professionale legano le personalità del giudice Falcone e Kennedy. Giovanni Falcone, infatti, nel suo ufficio, serbava una citazione del Presidente americano di inestimabile potenza etica. La frase era la seguente : “ Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana“.

stele a ricordo della strage di Capaci
La stele eretta sull’autostrada Catania-Palermo , in ricordo della strage di Capaci (foto Sir)

Cosa rimane 30 anni dopo la strage di Capaci?

Rispondere a questa domanda è alquanto complesso. Se, da un lato, la mafia non uccide più, dall’altro continua a persistere una forma più subdola di mafia che si nutre di opportunismo e dell’omertà di molti. Ancora oggi, infatti, le cronache ci mostrano casi di estorsioni, traffico di droga, scommesse clandestine, racket, usura, evasione fiscale, ecc. Tuttavia, quelle stragi accesero la fiamma degli ideali in molti giovani di Palermo e non solo. La mafia divenne fatto concreto. Molti giovani reagirono dopo aver preso coscienza di tale realtà.

Prendere consapevolezza è un atto di coraggio. Cambiare mentalità è un dovere, è il riscatto. Questo è l’insegnamento più grande di chi ha sacrificato la vita per un ideale di libertà e legalità. 30 anni dopo, questi ideali accompagnano le vite di molti e sono quanto mai potenti. Gli ideali non vengono uccisi ma camminano con altre gambe. Ecco perché la mafia non ha vinto.

Una poesia di Alda Merini sulla strage di mafia di Capaci

Concludo con i versi di Alda Merini che nella poesia “ Per Giovanni Falcone “, omaggia chi aveva combattuto quel cavallo nero chiamato “ mafia “ e prende le distanze da coloro che lo isolarono e ai funerali sorressero la bara.

“La mafia sbanda, la mafia scolora
la mafia scommette, la mafia giura
che l’esistenza non esiste, che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.

La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.

La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso”.

Mafia / Capaci: conclusione

Questo componimento poetico di forte impatto emotivo costituisce la sintesi del mio pensiero.  30 anni dopo, i giovani Siciliani come me, hanno il dovere morale di proseguire il cammino intrapreso da personalità come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Non dimenticare vuol dire non darla vinta a chi avrebbe voluto zittire per sempre gli ideali di libertà e legalità. Non dimenticare vuol dire tradurre in azione la seguente frase : “ non li avete uccisi, le loro idee camminano con le nostre gambe “ perché, citando un illustre cantautore genovese, rispondente al nome di Fabrizio De Andrè : “ da un diamante non nasce niente, dal letame nascono i fiori “. Nessuna mafia potrà mai impedire ai giovani siciliani ( e non solo ) di respirare il fresco anelito di libertà.

Giovanna Fortunato 

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