Nell’ultimo capitolo del romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga, si narra del ritorno alla casa del Nespolo di Ntoni, il nipote maggiore, che esce dal carcere, dopo aver scontato la sua pena dovuta alla coltellata infitta al personaggio don Michele.
Ntoni torna di notte, per la vergogna di essere riconosciuto, torna per rivedere la sua casa, i suoi cari (molti dei quali sono già morti), i suoi luoghi, gli angoli della casa. C‘è una frase che Verga mette in bocca a lui che evidenzia la nostalgia e anche il senso del pentimento: “Là c’era il letto della mamma, che lei inzuppava tutto di lagrime quando volevo andarmene. Ti rammenti le belle chiacchierate che si facevano la sera, mentre si salavano le acciughe? e la Nunziata che spiegava gli indovinelli? e la mamma, e la Lia, tutti lì, al chiaro di luna, che si sentiva chiacchierare per tutto il paese, come fossimo tutti una famiglia?
Anch’io allora non sapevo nulla, e qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo andarmene. In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo rannicchiato nelle spalle”. A questa amara confessione, Alessi, i fratello, “gli buttò le braccia al collo”.
Ntoni trova accoglienza nella sua casa
Quando prima dell’alba esce da casa “se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese”.
Verga non scrive che la porta della casa del nespolo si chiuse, di certo Ntoni non l’ha sentita chiudere, ha udito solo il brontolio del mare, “perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico”.
Commentando questa pagina del Verga, il servo di Dio, il venerabile don Tonino Bello, diceva al suo medico curante, il dott. Mimmo Cives: “… Ntoni era uno che non aveva voglia di lavorare, per giunta ricercato dalla giustizia. Dopo aver vissuto per anni alla macchia, braccato dai carabinieri, decide di tornare a casa. Di notte rientra nel suo villaggio, riassaporando la dolcezza dei ricordi più belli e toccando quelle mura, come per farsi riconoscere. Raggiunge la casa che lo aveva visto crescere, vi entra e trascorre alcune ore in compagnia dei familiari.
La porta lasciata aperta in segno di accoglienza
Infine, dopo questo tuffo del passato, in prossimità dell’alba se ne va, portando lontano dalla violenza il suo destino. Però allontanandosi, si ferma un attimo, senza voltarsi: vuole sentire se gli viene chiusa la porta alle spalle. Accertatosi che questo non avviene, rinfrancato, riprende il girovagare. Ecco perché, Mimmo, non dobbiamo chiudere la porta, né in faccia né alle spalle di nessuno” (Domenico Cives, Parola di Uomo, Tonino Bello un vescovo per amico, ed. San Paolo, 1995, pagg 68-69).
Questa pagina, che unitamente al romanzo, ho letto e riletto più volte nella mia vita, mi ha sempre indotto a riflettere sul tema dell’accoglienza. Ognuno di noi si porta dentro la nostalgia di luoghi, persone, situazioni, ognuno si porta la sua storia, fatta di luci e di ombre. Ognuno ha vissuto situazioni, talvolta drammatiche, volute o accidentali. Ebbene chiunque ha il diritto di essere accolto e senirsi ripetere le stesse parole che Alessi dice al fratello Ntoni: “Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te”.
La Chiesa è un madre che dà accoglienza
La Chiesa, per sua natura, è una madre che accoglie tutti, in qualsiasi momento, ad ogni età. Per questo essa ha sempre le porte spalancate e non le chiude mai. “Una famiglia «tra le famiglie, questa è la Chiesa, aperta a testimoniare al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte aperte. La Chiesa è una casa con le porte aperte” (Papa Francesco).
Abbiamo sciupato troppe occasioni, nel tempo, a classificare le persone tra buone e cattive, tra santi e peccatori. Abbiamo fatto troppe selezioni, indicato “chi” era degno di restare e di ricevere i benefici spirituali ecclesiali e chi doveva restarne fuori. “La Chiesa – ci diceva Benedetto XVI – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza” e la testimonianza che oggi è chiamata a dare è quella di essere una comunità accogliente, materna, provvidenziale. Una comunità che non chiude a nessuno le sue porte.
Don Roberto Strano