Nella lettera enciclica Deus caritas est, Papa Benedetto XVI, evidenzia le tre parole greche sull’amore: eros, philia, e agape. Vorrei soffermare la mia attenzione sulla parola philia (amore di amicizia), che spesso, per pudore o per incapacità di esprimere i sentimenti, usiamo poco o addirittura nulla, oppure la usiamo impropriamente generalizzandola.
Gesù, nel Vangelo di Giovanni, ci chiama “amici” e sottolinea che “non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici” (Gv 17,12). Lo stesso Vangelo è scritto dal discepolo più amato, dall’amico del cuore del Maestro.
Sul tema dell’amicizia hanno discusso e scritto eminenti scrittori latini come Cicerone; grandi Santi come Sant’Agostino; eminenti sociologi e psicologi; romanzieri e narratori. In quasi tutti appare evidente come l’amicizia è un valore sacro ed è anche una delle esperienze più significative della vita. Essa va distinta dalla singola conoscenza o addirittura dagli elevati numeri di persone che ci seguono sui social.
L’amicizia secondo Papa Francesco..
L’amicizia, infatti esige condivisione, empatia, relazione e quant’altro riesce a sviluppare i sentimenti e ci aiuta a crescere come persona. Per questo motivo dovremmo usare con parsimonia, con riverenza, con sacralità il termine amico. Scrive, saggiamente, La Fontaine: “Un amico… niente è più comune del nome, nulla più raro della cosa”.
Papa Francesco, parlando ai giovani, sottolineava che per essere e avere un buon amico occorre avere cinque caratteristiche e prerogative fondamentali: “Un buon amico conosce i tuoi segreti. Un buon amico non abbandona mai. Un buon amico ti difende sempre. Un buon amico non ti vende fumo. Un buon amico ti sostiene”. Solo così si entra in quel rapporto confidenziale, in quella Philia, che diventa esperienza fondamentale della nostra esistenza.
Dovremmo trasalire di gioia ogni qual volta un amico ci chiama o ci viene a trovare, tutte le volte in cui in un messaggio esprime sentimenti. Dovremmo imparare, come scrive Claudia Saba, ad essere meno avari nell’esternare i nostri sentimenti. <<Quando siamo diventati così avari di sentimenti? Quando è diventato così difficile pronunciare quel semplice: “ti voglio bene?”. Fare un complimento ci costa, ci pesa. Ci fa paura. Oggi, a quante persone abbiamo detto “ti voglio bene?” Probabilmente a nessuna. Convinti che tutti sappiano tutto senza dover parlare. Convinti che il tradimento ci aspetti sempre dietro l’angolo .
Amicizia è non aver paura di dire ti voglio bene
La vita va talmente di corsa che non abbiamo più tempo. E così si preferisce uno smile, un cuoricino in un whatsapp piuttosto che dire quella frase magica che tutti vorrebbero.
Ma un “ Ti voglio bene” allarga il cuore. Un sorriso, una frase, un sentimento mostrato agli altri rendono più bella la vita. C’è complicità in quel “ti voglio bene”.
Curiosità del vivere. Apertura alle emozioni, alle sensazioni, imprevisti della vita. Mostrare ciò che proviamo non ci rende peggiori, né deboli. Non mostrarci ci fa invece diventare aridi. Soprattutto verso noi stessi. Sentirsi dire ti voglio bene ci fa sentire appagati e preziosi>>. L’amicizia, infatti, richiede sentimento, emozione, disponibilità, rispetto, libertà.
In quanto espressione dell’amore, valgono anche nel campo dell’amicizia quanto scrive San Paolo nell’inno alla carità “non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,4).
L’amicizia non è possesso, né vanta l’esclusività. L’amicizia, come l’amore, “… non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente; muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità (Anaïs Nin).
Don Roberto Strano