Venerdì 3 settembre 1982: agguato mortale intorno alle 21,10 nella centralissima via Isidoro Carini, vicino piazza Politeama e viale Libertà a Palermo. La donna al volante, che guidava una “A112 Elegant” targata Roma, venne colpita prima da una raffica di kalashnikov e poi, a distanza ravvicinata, da un colpo di pistola alla tempia, che le sfigurò il volto.
La sua colpa, se tale si può chiamare, era quella di guidare l’auto al gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa del quale, 54 giorni prima, era divenuta moglie, nella chiesetta di Castel Ivano, sui monti del Trentino.
Tutto questo, dai coniugi era stato messo in conto, ma sicuramente Carlo Alberto ed Emanuela non avevano ragionato abbastanza sul cambiamento in atto fra il vecchio e il nuovo modo di reagire alle sentenze da parte della mafia, né che questa non portava più rispetto alle donne e agli appartenenti all’arma dei carabinieri.
Emanuela Setti Carraro, così, è stata vittima di riflesso. Forse neanche chi ha deciso l’assassinio di Dalla Chiesa e chi ha sparato sapevano che nell’auto fosse al posto del marito. Una vittima che aveva sposato la causa non sapendo quali fossero realmente i rischi. Probabilmente è stata tradita dalla sua giovane età e dalla mancanza di conoscenza di quel mondo che aveva scelto. Tra l’altro, il generale soltanto da pochi mesi, dal 6 aprile 1982, era prefetto di Palermo.
La giovane crocerossina Emanuela Setti Carraro, vittima come il marito, ma coperta dal nome del marito, non ha goduto della definizione di “vittima al servizio dello Stato”. Quasi come una compagnia che si trovava lì solo per caso.
Subito dopo l’attentato è arrivata al centralino del giornale di Messina “La Gazzetta del Sud” una telefonata del sedicente ” partito della guerriglia”: “Abbiamo ucciso Dalla Chiesa, seguirà comunicato”. (Fonte la Repubblica del 4 settembre 1982).
Emanuela Setti Carraro nacque a Borgosesia, Vercelli, il 9 ottobre 1950, in una famiglia della borghesia “buona”milanese. Il padre, reduce di guerra e poi attivo nel commercio delle lane. Diplomata, la giovane, come sua madre scelse di fare l’infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana.
Prestò la sua opera presso l’ospedale militare di Milano. Prestò servizio anche alla caserma” Santa Barbara” di Milano, dove iniziò a praticare l’attività di ippoterapia per i bambini disabili. Superate molte titubanze da parte della famiglia e da parte dello stesso generale alle seconde nozze, con molta determinazione di Emanuela, si celebrò il matrimonio.
Ad Emanuela si conferì la medaglia d’oro al merito della Croce Rossa Italiana, e quella per i meriti nella sanità pubblica. Nessun riconoscimento per avere condiviso le sorti del marito. Eppure Emanuela aveva scelto di stare vicino al generale nell’impegno più difficile e più pericoloso della sua carriera. Assieme al marito, giace tumulata nella tomba di famiglia, al cimitero della Villetta a Parma.
Nell’attentato rimase vittima anche l’agente Domenico Russo di 32 anni. Era nato a Capua Vetere il 27 dicembre d 1950, ed era in servizio presso la Questura di Palermo. Svolgeva il servizio di scorta del generale e la sera dell’attentato rimase ferito, perdendo la vita 12 giorni dopo. Non meno grande fu il sacrificio dell’agente Russo.
Oggi vogliamo ricordare quelle persone che non erano vittime designate ed erano sul posto dell’attentato insieme a Dalla Chiesa per dovere.
Giuseppe Lagona