La beatificazione di don Puglisi. Suor Carolina Lavazzo, sua collaboratrice a Brancaccio: “L’importante è non vivere da mediocri”

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Suor Carolina Iavazzo, storica collaboratrice di don Pino Puglisi nel quartiere palermitano di Brancaccio

Non un prete antimafia, ma “un sacerdote al servizio del Vangelo e quindi del bene”, perché “il Vangelo è lo spartiacque tra il bene e il male”. “Una persona positiva, sempre ottimista, con una fiducia illimitata nella Provvidenza, anche di fronte alle difficoltà”.

Suor Carolina Iavazzo, storica collaboratrice di don Pino Puglisi nel quartiere palermitano di Brancaccio
Suor Carolina Iavazzo, storica collaboratrice di don Pino Puglisi nel quartiere palermitano di Brancaccio

Così suor Carolina Iavazzo, collaboratrice di don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo, descrive il sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, a pochi giorni dalla sua beatificazione, che avverrà sabato 25 maggio a Palermo. “Mi porto dentro la sua carica: un’energia bella, spirituale, umana, morale. Credeva in quello che faceva. È stato una bella figura di sacerdote: povero, disinteressato ai soldi, con un cuore grande per amare gli ultimi”, aggiunge la religiosa. Sembra quasi l’identikit del sacerdote proposto oggi da Papa Francesco.

La scommessa sui giovani. Don Pino arrivò nel quartiere di Brancaccio a settembre 1990, suor Carolina il 2 ottobre 1991. “Il primo periodo – racconta suor Iavazzo – gli servì per fare uno studio del territorio, per capire i bisogni della gente”. E dall’analisi dettagliata che fece emerse “una situazione di degrado molto forte, di disagio morale, una povertà estrema, non solo economica, ma povertà di animo, di
valori, con famiglie disgregate, prive di ogni capacità educativa”. Soprattutto don Puglisi “si era accorto che il quartiere Brancaccio era gestito dalla mafia, anche grazie all’ignoranza che regnava tra i giovani e nelle famiglie”. Di qui la scelta di aprire un centro per giovani: “Per toglierli dalla strada, per offrire loro un’istruzione e un’alternativa al niente o ancora peggio alla manovalanza mafiosa”. Ma con il centro è andato a intaccare gli interessi della mafia, che poi ha reagito. Don Puglisi credeva molto nei giovani: “Riteneva che è difficile cambiare gli adulti mentre i giovani sono più aperti al cambiamento e al bello. Ha voluto iniziare dai bambini, dagli adolescenti offrendo loro un presente bello che potesse sfociare in un futuro altrettanto bello”. E, sottolinea la religiosa, “abbiamo subito avuto dei riscontri positivi”.

La storia del centro. Il centro è stato inaugurato il 29 gennaio 1993, quando erano stati completati i lavori di ristrutturazione dell’immobile, ma già precedentemente, dice suor Carolina, “lo utilizzavamo. Non è stato facile aprire subito il centro in quanto era tutto da sistemare. Don Pino aveva acquistato un immobile da ristrutturare per realizzare il centro, ma non aveva soldi. I primi 30 milioni per il compromesso li diede il cardinale Pappalardo, poi don Pino si è adoperato con tante iniziative per raggiungere la cifra necessaria all’acquisto. Nel frattempo, avevamo iniziato le nostre attività già per strada, andando dalle famiglie, avviando un corso di alfabetizzazione per adolescenti che frequentavano una scuola serale comunale”. Più l’attività di don Puglisi creava attesa e suscitava apprezzamenti, più la mafia era infastidita. “Io – ammette – non avevo colto tutta la gravità della situazione, anche perché don Pino ci teneva un po’ all’oscuro, non voleva coinvolgerci in questa sua lotta con la mafia per proteggerci, ma vedevo che spesso aveva il labbro spaccato, gli occhi arrossati: veniva picchiato e minacciato”.

Don Pino Puglisi, che il 25 maggio sarà proclamato beato
Don Pino Puglisi, che il 25 maggio sarà proclamato beato

Come un faro. Il 29 giugno 1993 i mafiosi appiccarono il fuoco alla porta di casa di alcuni strettissimi collaboratori del sacerdote, come vendetta trasversale. “Nella Messa successiva – ricorda la religiosa – don Pino usò parole dure: ‘Voi siete bestie, siete vigliacchi, è facile nascondersi dietro una pistola al buio e colpire, ma se siete uomini possiamo ragionare insieme’. Io mi spaventai molto di queste sue parole e in sacrestia gli chiesi perché aveva gridato tanto, sapendo che c’era gente che ci spiava. Mi rispose: ‘Più che uccidermi non possono fare’. Solo in quel momento ho avuto la misura giusta del pericolo, ma non capivo la sua risposta: mi chiedevo cosa sarebbe restato se lo avessero ammazzato, ma aveva ragione lui. Il suo messaggio è andato ben oltre. Voleva dire: possono uccidere il mio corpo, ma non la mia anima, i miei ideali, la mia libertà, la mia voglia di costruire il bene, la mia speranza per questo quartiere”. Oggi “don Puglisi è come un faro che si accende sulla Chiesa, sul mondo, sulla società – sostiene suor Iavazzo -. Amava dire: ‘Se ognuno fa qualcosa, allora avremo fatto molto’. Credo che noi tutti, politici, cardinali, vescovi, preti, religiosi, gente comune, dovremmo porre il nostro tassello al servizio del bene nel grande puzzle della vita, con coraggio, perché il mondo si cambia così, dalle piccole cose di ogni giorno”.

Passaggio di testimone. Idealmente suor Carolina ha raccolto l’eredità “bella ma gravosa” di don Pino: “L’importante è non vivere da mediocri – dice -. Sono venuta in Calabria, a Bosco Sant’Ippolito, tra San Luca e Bovalino, dove ho creato il centro Don Pino Puglisi per ragazzi. I ragazzi hanno voglia di bellezza, credono in un futuro migliore, ma dobbiamo offrire loro delle alternative. Noi insegniamo loro le regole del buon costume, del vivere civile, del rispetto per se stessi e gli altri, facciamo anche formazione religiosa e spirituale, soprattutto morale. Abbiamo una quarantina di giovani che vengono per il doposcuola, lo sport e attività di volontariato”.

(Fonte: SIR)

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