È stata inaugurata sabato 26 novembre la nuova Stagione di opere e balletti del Teatro Massimo Bellini di Catania. Avviata con quella che è forse l’opera più amata di Giacomo Puccini, La Bohème. Il titolo più rappresentato di tutto il repertorio teatrale sia musicale che drammatico. Lo spettacolo, che impegna orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini, sarà in scena fino al 4 dicembre per un totale di otto rappresentazioni, di cui una fuori abbonamento.
E si respira già aria di festa e di ripresa. In un Teatro che, nonostante le avversità meteorologiche, ha accolto nel fine settimana numerosi spettatori, entusiasti e distesi. Desiderosi di fruire comodamente lo spettacolo, senza mascherine, senza restrizioni. Di riprendersi il piacere dell’arte, dell’eleganza e dell’amicizia, quella con cui condividere il velluto delle poltrone, l’eccellenza acustica del teatro e la passione dell’opera.
Anche gli artisti, visibilmente eccitati e gratificati da una congrua presenza di spettatori e dai loro applausi scroscianti.
Miscela di spensieratezza bohémienne e tragedia
La Bohème trae origine dal romanzo di Murger, apparso a puntate su ‘Le Corsaire’ dal 1845 al 1848. Furono in due a pensare di trarne un’opera. Sebbene il primo fu Leoncavallo, l’opera che venne rappresentata per prima fu quella di Giacomo Puccini. Dal romanzo francese, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ne trassero un libretto in quattro atti e cinque scene. Ma nella stesura definitiva, l’opera sarà in quattro quadri, con la soppressione della scena di festa ambientata nel cortile della casa di via Labruyère.
Come in Tosca e Madama Butterfly, l’articolazione della Bohème, nella forma generale, è quella preferita da Puccini. Presentazione dell’ambiente e dei personaggi, duetto d’amore a ridosso dell’inizio, svolgimento drammatico. Questa volta con una miscela insolita tra spensieratezza bohémienne e tragedia, quella che cova nel petto innocente della protagonista.
La trama in quattro quadri
L’atmosfera è già pienamente natalizia, almeno nell’opera, e la scintilla tra Mimì e Rodolfo scatta in una fredda soffitta parigina. Giovani artisti e intellettuali scapigliati, condividono gioia di vivere e insormontabili difficoltà di un’instabilità economica che si ripercuote nelle relazioni sentimentali. Stenti e screzi divideranno i due teneri amanti, ma ancora di più la turbolenta coppia formata dal pittore Marcello e dalla generosa ma civettuola Musetta.
Gli eventi incalzano sotto gli occhi di altri due amici, il filosofo Colline e il musicista Schaunard. L’entusiasmo della festosa serata al Café Momus che rallegra il secondo quadro, si spegnerà con la rottura delle due coppie consumata nel terzo. Fino al tragico finale in cui le illusioni perdute naufragheranno in una commozione che non lascia scampo allo spettatore.
Il freddo parigino metafora dell’esistenza
Nella Bohème la musica tiene, in senso tecnico e retorico, anche se non esclusivamente, a una dolcezza che diventa fatto orchestrale. Una liricità delle piccole cose. Di un piccolo mondo che si immagina come universo compiuto. Una tradizione molto italiana, trapiantata in Francia, tra la finezza e la geometria di quegli ambienti.
Il freddo e Parigi sono il fondale di verità della Bohème. Il freddo reale diventa metafora dell’esistenza. E il dialogo iniziale tra Marcello e Rodolfo sottintende il conflitto tra arte e realtà. Anche la stagione dell’amore, benché si sia in gioventù, è fredda in questa Parigi del 1830. Ci vuol altro che un caminetto ad alimentare un cuore. Rodolfo e Marcello sono d’accordo che L’amore è un caminetto che sciupa troppo… e in fretta!
Cristiana Zingarino