“Pacefondaia” la chiamavano in famiglia, per il suo antimilitarismo, condivideva il rifiuto dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale. Per gli italiani, lei è “quella delle case chiuse, della Legge Merlin”. Un’etichetta riduttiva, ed ingombrante, che nasconde la vera straordinaria figura di donna, appassionata politica, impegnata a favore dell’affermazione dei diritti, e a difesa dei più deboli.
Angelina Merlin, più nota come Lina, era nata a Pozzonovo, in provincia di Padova, il 15 ottobre 1887, in una famiglia della borghesia progressista. Suo padre Fruttuoso era segretario comunale a Chioggia, dove Lina visse l’infanzia e la giovinezza, presso la nonna. La madre Giustina Poli, maestra elementare a Padova.
Attraverso i racconti della nonna aveva conosciuto il patriottismo del bisnonno e gli ideali antiaustriaci del nonno. Aveva conseguito la maturità magistrale alla Scuola “Fusinato” di Padova e si era poi trasferita a Grenoble, dove aveva studiato lingua e letteratura francese. Ottenuto l’attestato che le avrebbe permesso di insegnare francese nelle scuole medie, Angelina scelse, sulle orme di sua madre di lavorare nelle scuole elementari. Insegnare ai più piccini era la sua passione, fino al 1926 quando, essendosi rifiutata di prestare giuramento al fascismo, fu estromessa dall’insegnamento.
Lina Merlin estromessa dall’insegnamento continuò ad insegnare
Ormai infatti i dipendenti pubblici erano obbligati a fare giuramento al fascismo. Ma lei amava il suo lavoro e così non smise di insegnare neanche dopo l’estromissione dall’impiego. Angelina si era rifiutata, anzi, cinque anni prima aveva anche declinato l’invito di un amico ad aggregarsi al movimento fascista.
La cultura e i valori trasmessi dalla famiglia e il suo alto senso della giustizia la portarono ad iscriversi nel 1919 al Partito socialista Italiano. Iniziò a collaborare al periodico “La difesa delle lavoratrici”, di cui assumerà la direzione, e al settimanale socialista “L’Eco dei lavoratori”.
“Quando la donna comprenderà ch’ella è parte della classe degli sfruttati, parteciperà alla lotta contro il regime che la opprime”, scriveva nel marzo del 1922. Il suo carattere sanguigno e la sua perseveranza, l’avevano messa in luce fra i compagni di partito. Tanto che nel 1924 le affidarono il compito di gestire la campagna elettorale in Veneto. Proprio ad Angelina, una donna, e più di vent’anni prima che le donne italiane conquistassero il diritto al voto!
Lina Merlin sposa Dante Galliani
Nello stesso periodo conobbe il medico e deputato socialista Dante Galliani, con il quale sarebbe nata un’intesa di ideali e condivisione di sentimenti. Dopo diversi anni i due si sposarono. Stilò, nell’occasione che gestiva la campagna elettorale Veneta, un rapporto dettagliato e preciso delle violenze e illegalità compiute dagli squadristi e lo consegnò al deputato Giacomo Matteotti.
Rapporto utilizzato da Matteotti per stendere il suo documentato atto di accusa al fascismo ormai al potere. Fu proprio dopo quel discorso in parlamento che il politico rodigino sarebbe stato rapito e assassinato nel giugno di quello stesso anno da una squadra fascista.
Nel 1926, lasciò Padova e si trasferì a Milano, nel vano tentativo di sfuggire alla repressione. Arrestata, il tribunale speciale la condannò a cinque anni di confino in Sardegna.
E licenziata, con il divieto di insegnare nella scuola italiana e fascista. Angelina si mise allora a dare privatamente lezioni, alle donne di Sardegna, a quel tempo povera e arretrata. Insegnava loro a leggere e a scrivere, tracciando la via verso il riscatto sociale.
Grazie a una riduzione della pena, rientrerà a Padova nel 1929. L’anno successivo si trasferì a Milano, dove dal 1936 iniziò a impegnarsi attivamente nella lotta antifascista. La casa di via Catalani divenne luogo di riunioni clandestine, alle quali partecipavano, tra gli altri, personaggi come Sandro Pertini, Lelio Basso, Rodolfo Morandi e Claudia Maffioli.
Una delle ventuno madri della Costituente
Alla morte di Galliani, a Lina rimase il conforto dei figli di lui e di Franca Cuonzo, figlia di sua cugina morta prematuramente e che lei aveva adottato. Con l’8 settembre 1943 entrò nella Resistenza, prendendovi parte attiva e organizzando con Ada Gobetti e altre antifasciste i “Gruppi di difesa della Donna”. E, dopo la Liberazione, entrò a far parte della direzione del suo partito che le affidò, durante il governo regionale lombardo del Cln Alta Italia, la riorganizzazione delle scuole.
Nel 1946 fu una delle ventunomadri della Costituente. Si deve a lei l’interpolazione della locuzione “di sesso” nell’articolo 3, tra i criteri di distinzione che non possono determinare discriminazioni di trattamento, parametro fondamentale per impedire disposizioni legislative dal carattere discriminatorio nei confronti delle donne. Nel 1948 fu eletta al Senato, insieme con tre altre donne, mentre nel 1953, alla sua seconda legislatura, sempre al Senato, fu invece l’unica donna. Infine, nel 1958 verrà eletta alla Camera, e farà parte della Commissione antimafia.
Nel 1961 Lina Merlin consumò la sua rottura con il Psi, dove la sua militanza appassionata e la sua inflessibilità le avevano procurato ostilità e inimicizie. Entrò allora a far parte del gruppo misto, dichiarando nel suo discorso di commiato di non poterne più di “fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitori dello stalinismo”.
Nella sua attività parlamentare dedicò tutti i suoi sforzi al miglioramento della condizione femminile, mostrando in tutte le sue battaglie tenacia, coerenza politica e serietà. E anche la capacità di saper ribattere in maniera efficace e tagliente alle battute, talvolta assai poco cavalleresche, che spesso le rivolgevano.
L’ impegno di Lina Merlin in favore delle donne
Tra le proposte di legge presentate da lei possiamo ricordare quella per l’abolizione del carcere preventivo o la procrastinazione dell’inizio della pena per le madri. Per l’eliminazione dell’indicazione di “figlio di NN” (Nomen Nescio) apposta sui certificati di nascita dei figli non riconosciuti dal padre. Proposta per il trasferimento delle carcerate negli ospedali per partorire.
Lottò per ottenere che le donne potessero iniziare a scontare la pena dopo il compimento dei due anni del figlio, perché avessero il diritto a un parto indolore, e perché non fossero licenziate per giusta causa se si fossero sposate.
Ma indubbiamente la sua fama è legata alla legge 75 del 20 febbraio 1958, per l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia, che comportava la chiusura delle “case di tolleranza” e l’eliminazione della schedatura delle prostitute. Con questa legge si aboliva la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione.
La legge ebbe un lungo iter parlamentare, durato addirittura dieci anni, durante il quale emersero arretratezze culturali, ipocrisie e falsi moralismi. E venne discussa in aula quasi sempre in seduta segreta, perché si riteneva più opportuno e dignitoso evitare la discussione alla presenza della stampa e del pubblico.
Abolizione delle case di tolleranza
Bisogna anche dire che “le case di tolleranza” non furono abolite da Angelina Merlin, bensì dall’ONU. Con l’adesione all’ONU l’Italia sottoscrisse la Convenzione del 1949 che, tra l’altro, ordinava la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione. Superare il regime delle Case di tolleranza gestite dallo Stato era obbligatorio. Il ministro degli Interni Mario Scelba, a giugno, aveva vietato l’uso del bikini nelle spiagge, e già dal 1948, aveva smesso di rilasciare licenze di polizia per l’apertura di nuove Case.
Nello stesso anno la Senatrice Merlin aveva presentato la prima ed unica proposta di legge in materia di prostituzione. Tutti i colleghi furono felici di delegarle , così, quell’ingrato compito. Questa battaglia costò a Lina pesanti insulti e continui attacchi, non solo da parte degli uomini di altri partiti, ma anche dei suoi compagni di partito.
Lina Merlin fu anche consigliere comunale di Chioggia dal 1951 al 1955 e profuse sempre grande impegno. Visse la disastrosa alluvione del 1951. Quell’anno il fiume Po, furioso, era esondato e trasformato il territorio in un ammasso di fango e acqua, provocando quasi un centinaio di morti e 200.000 senzatetto.
La troviamo a sessantaquattro anni, tra le valli inondate dal fango, a portare aiuto, così come fece nelle successive inondazioni. Non risparmiando critiche e rimproveri al governo e ai responsabili dei soccorsi, perché mancavano ruspe, camion e sacchi di sabbia. E non c’erano rendiconti su come fossero impiegati i soldi stanziati.
Nel 1961, dopo aver saputo che il suo partito non l’avrebbe più sostenuta alle elezioni, bruciò la tessera. A settantasette anni, nonostante le esortazioni dei suoi sostenitori che avrebbero voluto rivederla candidata anche nelle elezioni del 1963 come indipendente.
Lasciò la vita politica definitivamente da lì a pochi anni, su sollecitazione della figlia adottiva.
Si dedicò a scrivere la sua autobiografia, ripercorrendo un’esistenza di impegno sociale e di battaglie per la libertà. Morì a Padova il 16 agosto 1979, assistita dalla figlia-cugina Franca.
Giuseppe Lagona