Ricordo / La professoressa Camilla Strano dall’umile grandezza di cuore e di pensiero

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Camilla Strano Patti

A quei tempi, entrai al liceo classico “Gulli e Pennisi” – così volle la mia famiglia – in rigorosa, seppur libera, tenuta: giacca, cravatta e pantaloni corti. Era, ricordo bene, di un bel marrone, uscita dalle mani sapienti del miglior sarto acese dei tempi. E non mi sentivo affatto in imbarazzo, anzi tutt’altro. Ho capito presto, dopo, come fosse una vera “divisa” di consapevolezza educativa per il rispetto dovuto (e molto sentito) ad una istituzione culturale e formativa quasi esclusiva per la sua storia e per la sua grande caratura didattica, alla cui continuazione erano tenuti non solo gli alunni, ma anche i docenti.

Erano tempi, a quei tempi, che a 14 anni bisognava essere consapevoli che stava cominciando un cammino difficile, ma di cui andare orgogliosi. Un vero e proprio percorso iniziatico in una dimensione che, si auspicava e si attendeva, realizzatrice di futura classe dirigente della società.

Che fosse così strutturato, lo si vedeva subito anche dall’allocazione delle nostre prime classi, situate in un ridotto freddo e umido sotto la grande arcata del piano superiore, dove compiere la gavetta  e sottostare alla legge, di  sussiegosi “liceali“ che già sedevano nei banchi dalla bellissima forma del teatro classico.

La comparsa della professoressa Strano

Fu in questa apprensiva, quasi timorosa “iniziazione” che, in una tepida e luminosa giornata d’autunno, il “bidello” burbero ma buono che aveva il comando di quelle retrovie aprì il finestrone d’ingresso della classe. E, con fare contegnoso si rivolse, ammonitore, a noi presentando la professoressa di Lettere Camilla Strano.Camilla Strano in una foto di famiglia

Qual non fu la nostra sorpresa a vedere entrare una giovanissima e bella donna dal sorriso aperto e inclusivo, luminoso ed allegro. E con un fare deciso ed elegante che catturò subito l’attenzione di noi meschini, ancora con il latte del diploma di terza media in bocca. Noi che a tanto non avevamo nemmeno sperato. La professoressa dimostrò subito la sua capacità di determinazione in un’aura gradevole di piena disponibilità e di sùbito ascolto. Dimostrando altresì, passando velocemente al “da farsi” che avevamo tutti, compresa lei, il dovere di sostenere l’orgoglio che suscitava la storia di quei luoghi.

Fu in quei luoghi angusti, senz’aria e bui, che erano quei pertugi di classe che imparammo molto presto la lezione. Il Ginnasio, si sa, a quei tempi era una sorta di cantiere dove si sperimentavano le conoscenze dei materiali da costruzione, tutte le complicate e noiosissime regole irregolari. Quell’architettura poderosa che, se fine a sé stessa, costituiva, pur necessaria, un esercizio faticoso e arido, spesso rigettato, di apprendimento formale.
La nostra professoressa ci fece intendere subito che regole, sì lo erano, ma regole dell’Arte.
Di quell’Arte che, come diceva Plauto, si alimenta di conoscenza e di studio.

La formazione culturale e umana della professoressa Strano

Non gridava alla lesa maestà della sintassi latina e dei verbi greci, comprendeva e annuiva. Ma, nello steso tempo, la gradevolezza della sua persona e la sua rigorosa declinazione dell’insegnamento ci apparvero presto uniti in un tutt’uno con l’espressione di una grande formazione umana. Permeata, questa, di benevolenza, di comprensione di accettazione e confronto. Qualunque fosse stato l’acerbo comportamento di quel drappello che, man mano, andava componendo una squadra organizzata. E dalla quale emersero prestissimo elementi umani di altissimo valore didattico che poi, superato l’esame di quinta ginnasio (sic!) esplosero in tutto il loro eccellente valore. Proprio in quegli ambiti intellettuali che il suo rigore didattico aveva insegnato.Camilla Strano

Non fu difficile superare l’esame di quinta ginnasio, prova che ci introduceva nel “vero” ambito del “sapere” dovere, compiuta l’iniziazione. E che ci riservava l’accesso al piano superiore della conoscenza e della definizione della nostra personalità.

Cinquant’anni di amicizia con la professoressa Strano

Dopo, l’evolversi dell’ esistenza di ognuno si svolse con tempi e modi assai diversi. Ma passarono solo pochi anni e mi ritrovai vicino ancora una volta e per ben oltre cinquant’anni, la professoressa Rosina Camilla Strano.(La professoressa, per me, resta così per sempre).

Questa volta, restammo sempre uniti,  nell’apprendimento che fu comune e da lei condotto in reciproca “uguaglianza” sempre materno. Sempre disposto allo “scambio” delle parti ove capisse che la società era andata avanti e forse poteva anche “imparare“ lei dai suoi alunni di sempre, eppur  connotato della ricerca  di regole umane e spirituali. Ciò per diventare maestri d’Arte nella  costruzione di edifici  assai più grandi.  Cioè il Cristianesimo del Vangelo, degli Ultimi, della essenziale conversione del pensiero  che potesse  portare all’acquisizione dello “scandalo” del Cristianesimo  e la civiltà umana della società giusta ed  eguale, l’esercizio dell’autorità morale dell’esempio, sempre con il vestito della sapienza dell’ascolto, della rassicurante parola di incoraggiamento, della comprensione  della vita  e delle fragilità della persona che le stava di fronte, fossero anche lontanissima dai suoi.

In una parola, la bellissima tenerezza di quella Carità cristiana e quella Giustizia sociale che le permisero sempre di affrontare amarezze e delusioni  e  tante tempeste lontane e vicine, mai però  ad esse soggiacendo. E sempre tenacemente  testimoniando che un altro sentiero fosse possibile e che andare avanti bisognava, superare, non aggirare. Non era ancora d’uso diffuso il termine “resilienza” cui ella dette corpo tantissime volte, anche sotto il “fuoco amico”. Anche nell’incomprensibile dolore che accompagna la nostra esistenza.

Un atto di presunzione di cui pentirsi

Io le “regalai” il primissimo dispiacere appena da poco insediatasi, senza accorgermi che stavo compiendo un atto di stupida giovanile presunzione, da “calzoni corti”, ricusando il titolo  un tema d’italiano da svolgere in classe perché lo reputai (sic!) troppo banale, degno delle scuole elementari e presentai il foglio in bianco. Manco se fossi ad un’assemblea sessantottina ante litteram!

Da quel gesto, di cui non mi pentirò mai abbastanza, e dalla sua reazione che comprendeva tutte le virtù che  imparai dopo a riconoscere, nacque un sodalizio umano, fortemente umano, che ha costituito gran parte della mia formazione esistenziale. Sodalizio umano fatto di amore e di comprensione di quello che, pur aspro e sgradevole, conteneva il mio gesto. Gesto che voleva trasmettere subliminalmente alla classe la necessità di “rivoltarci” sempre contro ogni “potere” costituito, fosse anche un atto piccolissimo.

Sì, perché questa è stata la cifra più autentica della mia vita; ma che clamorosa cecità fu considerare “potere” l’umile grandezza di cuore e di pensiero di Camilla Strano!

Questa autorevolezza morale non è venuta mai meno. Ed è per questo che, riconoscendo il mio permanente status di allievo destinatario di un affetto tenerissimo, quasi materno, pur volendole un bene molto forte anch’io e tanto anche alla sua a me carissima famiglia, e pur anco sodali di tante testimonianze comuni spirituali e “politiche”  non sono mai riuscito a darle del “tu” come lei più e più volte mi aveva sempre richiesto.

Ora però, lo posso fare. Ciao, Professoressa.  Noi due lo sappiamo che c’è un luogo nel quale ci riconosceremo.

                                                                                                                Rosario Patanè

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