Vino e divinità / In Quaresima acqua e vino, ma “separati in casa”!

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effetti del vino

Parliamo di digiuno in questa seconda puntata della rubrica “vino e divinità”. Può sembrare una provocazione farlo ora che siamo in Quaresima e, in effetti, lo è.
La regola di Isidoro così recitava: “In entrambi i periodi dell’anno (da Pentecoste fino all’autunno e il resto dell’anno) il cibo della mensa sia costituito da tre vivande, in verdure e legumi e, se è possibile averne anche una terza, frutta.
Analogamente, la sete dei fratelli verrà appagata con tre bicchieri di bevanda. Per compiere le osservanze quaresimali, poi, come è consuetudine, dopo aver digiunato si accontenteranno tutti di pane e acqua, e si asterranno dal vino e dall’olio”.

La raccomandazione di astenersi dal vino e dall’olio è anche una costante nel monaco ortodosso orientale. Secondo Eusebio di Cesarea, primo storico del cristianesimo, “egli non beve né vino né altra bevanda alcolica. E non mangia nessun cibo che si possa dire gradevole”. Ma tu guarda un po’. Paradossalmente la bevanda sacra del vino, esaltata da Gesù a Cana, si trasforma in qualcosa di proibito. Gesù non ha mai avuto il braccio corto e infatti, ad onore del vero, quello di Cana è il primo miracolo, anzi il wine day.

Non bere troppo: meglio acqua e vino?

Presso i certosini, secondo le Consuetudini di Guigo del XII secolo, “lunedì, mercoledì e venerdì i monaci digiunano a pane e acqua, con la possibilità, a gradimento di ciascuno, di aggiungere il sale; martedì, giovedì e sabato possono cucinarsi dei legumi – con l’aggiunta il giovedì del formaggio – accompagnati dal vino, che, come per i benedettini, non è mai puro, bensì mescolato con l’acqua”.
Beh, puntualizziamo un aspetto. È piuttosto interessante che il digiuno per la Chiesa era rigoroso ma senza dichiarare mai l’astinenza dall’alcool, eccetto le consuetudini e le regole monastiche. In realtà i certosini “copiarono” questa stramba regola di miscelare acqua con vino (roba da far rabbrividire noi poveri sommelier!).vino che stordisce

Tra le norme attribuite a uno dei più antichi legislatori cittadini di Atene, Solone, ve ne era una che disponeva nei mercati della città di dare vino mescolato con acqua, per non consentire ai commercianti di guadagnare troppo. E per far sì che gli acquirenti, bevendo in conformità alle disposizioni di legge potessero più facilmente rimanere sobri. La regola, quindi, era quella di non bere troppo.
Senza dubbio, la tranquillità pubblica avrebbe tratto grande giovamento da questa disposizione. Allo stesso modo quella di un monastero. E lo spunto ci viene offerto da Pietro il Venerabille, nel capitolo ventottesimo del De miraculis: se berranno vino, riferendosi ai monaci, afferma che “esso sia tagliato con l’acqua che non dà alcuna forza né procura alcun piacere”.

Consuetudini dei nostri anziani: mescolare acqua e vino

Gli anziani tutt’oggi usano spesso aggiungere acqua, qualcuno anche bevande gassate come spuma o aranciata, al vino. E accompagnano questa crudele pratica pronunciando “accussì sapi chiù lentu”. Anche qui possiamo tentare un accostamento con i nostri avi del passato. Non ho mai assaggiato una coppa di vino con miele, spezie ad altri aromi durante i Vinalia dell’antica Roma, ma sicuramente posso affermare che non mi sarebbe scesa giù.
Ricordo bene mia nonna Nina mescolare “du ita di vinu e nquattu di spuma”. Mio padre e i miei zii mi ricordano spesso come la nonna Venera “miscava vinu scuru cu mpocu di acqua” al marito Nino, detto, sorte dell’ironia, “mezzu bicchieri”.

Così come i monaci non inventarono niente, ripercorrendo consuetudini antiche, anche la scelta dei nostri anziani si ricollega con la divinità. Nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma mescolare vino e acqua era una pratica molto diffusa e consigliata. Al contrario, bere vino senz’acqua era considerata un’azione bruta e selvaggia. Solo i barbari, si diceva, potevano bere vino allo stato puro.acqua e vino mescolati
Senza essere né barbari né astemi, vi raccomando: vino e acqua possono convivere ma da separati in casa! Lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton, nel suo romanzo “L’osteria volante” (1914), non ha dubbi a riguardo: “Non importa dove va l’acqua, purché non vada nel vino”.

Abbinamento vino e cibo spirituale

Ritorniamo al digiuno, spendendo le ultime parole di questa puntata a favore di una Quaresima, fin qui troppo osannata senza una giusta riflessione. Uno dei possibili digiuni è legato alla spiritualizzazione del cibo, tramite l’opposizione tra il cibo del corpo e quello, più dolce e benefico, dell’anima.
San Bruno di Colonia ricorda, in una lettera indirizzata dalla Calabria a un amico lontano, come l’eremo sia il luogo in cui “[…] coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso”, mentre nella prima Regola di San Francesco di Paola si prescrive, usando un’analogia spesso presente nei testi religiosi, che durante il pasto “l’anima si nutra di continuo con la lettura spirituale”.

E se tutto ciò lo accompagnassimo con la meditazione di un vino particolare, per esempio proveniente da una cantina abbaziale (in Alto Adige, ma non solo) e talvolta da regioni vinicole del mondo in cui il sacro e il divino si sono combinati in via eccezionale (cito qui la Georgia)? In tal modo abbiniamo al cibo spirituale il vino, aggiungendo nel nostro calice un’acqua diversa che non svilisce ma impreziosisce. Affinché questa esperienza possa superare il senso, toccare il cuore ed edificare l’anima. Prosit! (Augurio latino che faceva seguito a un brindisi, e che significa “Che giovi! Che porti bene”).

Domenico Strano

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