L’espulsione di Alma Shalabayeva: con i regimi autoritari è necessaria una dottrina di Stato

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Passaporto di Alma Shalabayeva

La storia dell’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente politico kazako Muktar Ablyazov, e della loro figlia è una storia in cui si mescolano, in misura diversa, scarsa professionalità, superficialità, servilismo, miopia politica, basso machiavellismo. Ancora non ne conosciamo i particolari e quindi ci asterremo dall’attribuire responsabilità, sperando che presto i contorni della vicenda vengano chiariti, in omaggio alla nostra democrazia. Che non merita figuracce internazionali di questa portata. Nonostante la scarsità di dettagli, il quadro generale della vicenda e il suo significato sono abbastanza chiari. Qualcuno che occupa posizioni di rilievo nella catena di comando delle nostre forze di pubblica sicurezza ha organizzato un blitz armato con conseguente immediata espulsione tramite un jet privato pagato dal governo kazako di una donna e sua figlia, a seguito di non precisate ma molto probabili pressioni delle autorità kazake. Perché tanta efficienza?

Passaporto di Alma Shalabayeva
Passaporto di Alma Shalabayeva

Perché chi ha dato il via all’azione sapeva perfettamente che il Kazakhstan non è uno Stato qualunque per l’Italia, ma un partner economico strategico. Il Paese asiatico è ricco di gas e petrolio, che esporta per il 20% del totale in Italia. L’Eni ha investito ingenti capitali per lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse kazake da ormai venti anni ed il Kazakhstan rimane una priorità per l’azienda italiana. D’altra parte, anche le esportazioni italiane nel Paese sono cresciute costantemente negli ultimi anni, arrivando a 900 milioni di euro lo scorso anno. Da un punto di vista economico, l’Italia ha dunque un rapporto privilegiato con il grande Paese centroasiatico, che cresce da anni ad un tasso stabilmente superiore al 5% annuo.

Dal punto di vista politico, però, il Kazakhstan non è un partner comodo. Non vi è dubbio infatti che il Kazakhstan sia governato da un regime autoritario, che si è progressivamente irrigidito negli anni. L’era del presidente Nazarbayev, alla guida del Paese da quando era stato posto a capo del soviet kazako durante gli ultimi anni dell’Urss, ha coinciso con lo sviluppo del Paese, ma il modo con cui Nazarbayev si assicura il mantenimento del potere ha poco ha che fare con la democrazia. Piuttosto, la sua leadership ha molto a che fare con il ruolo egemone della burocrazia post-comunista a lui legata, con la manipolazione delle elezioni e con le ripetute modifiche della costituzione, tese a rendere il suo ruolo praticamente inattaccabile.

Come muoversi dunque al cospetto di un interlocutore di questo genere? Il rapporto con le dittature è un problema ricorrente per le democrazie ed è importante avere le idee chiare in proposito. Si può avere a che fare con i regimi autoritari per difendere e promuovere l’interesse nazionale, ma una democrazia non può neppure rinnegare a cuor leggero i principi su cui è fondata. Il modo in cui si è svolta la vicenda non è stato un esempio di difesa dell’interesse nazionale, ma una preoccupante manifestazione di incertezza politica e di debolezza amministrativa. Ammesso e non concesso che Ablyazov oltre ad essere un oppositore di Nazarbayev sia anche implicato in attività criminali, non risulta che sua moglie e sua figlia costituiscano una minaccia alla sicurezza kazaka, né tantomeno a quella italiana. Le nostre autorità si sono dunque ritrovate impigliate in una brutta spirale che assomiglia molto a una sorta di ricatto di Stato, finendo così col violare varie norme di diritto internazionale.

Nei suoi rapporti con gli stati autoritari, una democrazia dovrebbe porsi come obiettivo l’elaborazione di una politica di influenza, che certo non imponga i propri valori, ma che almeno li difenda e li proponga. In caso contrario, si scade in una misera realpolitik a scopo economico. Altri Stati lo fanno, ma per questo continueremo a criticarli.

(Fonte: SIR)

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