Nel febbraio scorso Santo e Carmen decollano, insieme ad altri volontari, alla volta dell’Africa. La destinazione è la Guinea Bissau. La base d’appoggio è Bula, circa trentamila abitanti, presso il Centro di malnutrizione gestito dalle suore del Preziosissimo sangue di Cristo.
Non hanno bussole con sé, seguono il cuore perché spinti dal bisogno di sperimentare un nuovo amore. Darlo e riceverlo diventa subito necessario. Inevitabile. Il bagaglio, alla partenza, non prevedeva altro che indumenti necessari per il caldo, qualche medicinale e oggetto personale.
Lo spazio mancante si è subito riempito con le tante storie raccolte in strada, storie terribili e al tempo stesso ricche di speranza. Per Santo, prete trentottenne e parroco di Dagala, percorrere quelle strade lo ha portato ad “incontrare Dio”. Per Carmen, laica impegnata nel sociale e mamma di un figlio perduto, “far rivivere la memoria di suo figlio donando il suo amore verso gli altri”. Uniti dalla consapevolezza, sostengono convintamente “che i bambini sotto questo cielo sono tutti uguali”.
Il senso di questa missione in Guinea Bissau
Li ho intervistati per raccogliere non tanto le sensazioni ma la loro storia. Ho chiesto loro quale fosse il senso di questo viaggio. E dalle loro parole ho capito che non è stato solo un viaggio ma qualcosa più grande di loro.
“Stare in mezzo a questa gente è stato come incontrare Dio. Io mi sono sentito evangelizzato da loro perché quel popolo ha una capacità di avvolgerti con una forza che noi non conosciamo”, ha rivelato Santo.
Per Carmen il vero senso della missione è l’amore: “Non è stato semplicemente un viaggio ma un’emozione grande, che ho fatto in memoria di mio figlio Claudio. Mi sono sentita subito catapultata in una situazione più grande di me”.
Un tema importante ma al tempo stesso delicato è quello delle adozioni. “Sono importanti perché questi ragazzi hanno urgente bisogno di istruzione”, mi dice Carmen. Da qui l’invito a non lasciarsi trasportare dal sentito dire ma di fidarsi da chi ha visto con i propri occhi la realtà delle cose. “Le necessità sono tante e alcune prioritarie per queste persone, sanità e istruzione soprattutto. Un piccolo contributo può cambiare di tanto la vita di questi ragazzi. Le adozioni sono importanti per accompagnare questi ragazzi verso un futuro migliore”.
Effetti della missione in Guinea Bissau
Si continua a parlare. Si ritorna sul senso del viaggio. “Per me questo viaggio è stato l’inizio di una nuova storia in cui ho sperimentato un forte discernimento”, mi dice il parroco che, accennando alle fatiche fisiche aggiunge: “Non ho sentito stanchezza nel corpo ma nell’anima e questo è positivo perché sentivo questa necessità, che dovevo vivere questa prova. La fatica vera è stata ritornare alla realtà di tutti giorni ma anche questo è normale”.
Durante la loro permanenza a Bula e in altri villaggi della Guinea Bissau, i missionari hanno camminato tanto. Così i loro piedi sono diventati il viaggiare lento che lega i rapporti e fa miracoli. Lo scorrere dell’orologio era loro complice, avevano un tempo diverso da vivere rispetto a quello a cui erano abituati. Senza il pieno e lento tempo, del resto, quel viaggio non sarebbe esistito. Per questo oggi lo definiscono “viaggio esperienziale”. Questo non significa che non avevano niente da fare o che non ci fossero delle scadenze o dei ritmi da rispettare.
Dalle loro risposte è emerso che in loro è in atto una trasformazione: “Prima di partire vivevo i giorni dando peso a certe cose piuttosto che ad altre. Ho capito, tornando a casa, che dovevo vivere più serenamente ridimensionando ogni problema”, mi confida Carmen. “Noi spesso ci preoccupiamo di mille cose. L’Africa e in particolare l’esperienza in Guinea Bissau – mi confida il parroco – mi ha confermato che non bisogna preoccuparsi ma semmai occuparsi dell’altro”.
D’ora in poi dentro di sé porteranno tanti ricordi. Posso affermare con tutta sincerità che parlando con loro ho interpretato nei loro sguardi la consapevolezza che questo tipo di esperienza ti lascia dentro delle emozioni che difficilmente si possono metabolizzare.
Carmen me ne ha dato conferma quando ha accennato al suo “mal d’Africa”. Santo, invece, parlando delle celebrazioni stracolme di gente e della partecipazione festosa. Dentro loro vive ancora quella fame di sorrisi e abbracci.
“Un’immagine che porterò con me sempre è lo sguardo dei bambini che rimangono a fissarti da lontano per poi avvicinarsi lentamente sfiorandoti la pelle”, mi dice Santo. “La preghiera del Padre Nostro recitata da una bambina durante la messa”, l’immagine semplice ma carica di significato a cui Carmen sarà sempre legata.
Dodici volontari in missione in Guinea Bissau
La missione vissuta da don Santo Leonardi e Carmen Cutuli e da altri volontari, in tutto dodici, è l’ultima delle tante promosse da Sebastiano Genco, infermiere e diacono acese, fondatore nel 1998 dell’associazione Amici delle missioni.
Grazie a queste iniziative quella realtà afflitta da miseria e povertà sta cambiando volto. Tanto però rimane da fare. Soprattutto non bisogna smettere di donare amore. Nei villaggi visitati della Guinea Bissau rimangono tante opere buone compiute: le adozioni che sia Santo che Carmen hanno aperto personalmente anche facendo da ponte per altri amici dalla Sicilia, l’avvio dei pozzi per estrarre l’acqua, l’assistenza alle scuole. Ma soprattutto la loro testimonianza attraverso la missione.
“Loro – mi dicono – hanno tanti sogni. C’è chi vuole diventare calciatore, chi medico, chi avvocato. Hanno la speranza di apportare un miglioramento per la loro società. Ma rimangono legati saldamente alle loro tradizioni e non vogliono stravolgerli ma conviverci, nutrendo al tempo stesso una speranza di riscatto”.
Domenico Strano