Occupazione / Donne in aumento nelle PMI: cambia in meglio l’Italia nel post-covid

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donne dirigenti

I risultati emersi dall’indagine condotta dai ricercatori di I-AER, con Aida Partners, su 741 PMI (Piccole e medie imprese) del nostro paese, mostrano un quadro in cui nelle piccole e medie aziende italiane sono soprattutto le donne ad impattare positivamente sullo sviluppo imprenditoriale del post-covid.
Ciò – si legge in una nota di I-Aer – avviene soprattutto quando si verificano due particolari condizioni. Cioè sensibilità del management alla formazione continua e forte propensione dell’azienda verso i mercati internazionali.

Il quadro che emerge è assolutamente sorprendente e racconta di un’Italia a trazione imprenditoriale, dove famiglia, ruolo della donna e opportunità di business si intrecciano, con realtà aziendali in forte evoluzione. Anche grazie a giovani manager in grado di innovare nel segno della continuità.

Nelle PMI donne dirigenti nelle aziende di famiglia

“L’Italia delle donne alla direzione generale delle aziende di famiglia è uno shock molto positivo per il sistema-paese” . Così dichiara Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER.
Dopo la pandemia, il settore terziario si conferma sempre più “rosa”, con il quasi 25% di dirigenti donne, rispetto al 15% dell’industria. In particolare, il terziario privato registra una presenza significativa di donne manager nella sanità e assistenza sociale (50%). Poi nell’istruzione (42%), nel noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (29%), e nelle altre attività di servizi (27%).

prof. Fabio Papa
Prof. Fabio Papa, fondatore di I-Aer

Analizzando le regioni italiane, la Sicilia si posiziona al primo posto con la percentuale più elevata di donne in posizioni dirigenziali (27%), seguita da Lazio (26%), Calabria (25%), Molise (23%) e Lombardia (22%). A livello provinciale, Milano prevale come la provincia con il maggior numero di donne dirigenti, seguita da Roma e Torino.

Donne e PMI: il gender gap rimane ancora pesante in Italia

Eppure, non mancano le ombre all’interno di uno scenario apparentemente incoraggiante. Infatti, sebbene la propensione verso le donne alla guida delle imprese sia in costante crescita, esistono diversi limiti alla loro affermazione professionale.
Il gender gap nel mondo del lavoro italiano rimane ancora molto pesante, soprattutto quando si tratta della maternità.
In media, nei due anni dopo il congedo di maternità, le donne guadagnano tra il 10% e il 35% in meno rispetto a quanto avrebbero guadagnato se non avessero avuto figli. Inoltre, il 57% delle donne manager non ha figli, rispetto al 25% dei loro colleghi uomini. Sotto questo punto di vista, essere donna rimane purtroppo ancora un ostacolo e la maternità rappresenta un fattore discriminante.

Le evidenze emerse dallo studio vanno ancora più in profondità. E, sebbene non riescano a sfatare il mito di un’Italia ancora troppo orientata ad una cultura maschilista ed individualista, fanno riflettere sull’enorme potenziale nascosto all’interno del sistema economico nazionale.

A prescindere dal genere di appartenenza, premiate merito e competenza

Dallo studio – si legge ancora nella nota di I-Aer – viene fuori che quando le aziende hanno il coraggio di scegliere la guida imprenditoriale più preparata, motivata e desiderosa di far crescere il business, i risultati sono entusiasmanti, con indici di redditività mediamente più elevati di tre punti percentuali. Soprattutto quando alla guida dell’azienda c’è una donna con età compresa tra i 30 e 55 anni e l’impresa è a conduzione familiare”. 

“Questi dati – spiega il prof.  Papa – ci fanno capire che la strada è tracciata. Infatti, in un ambiente di business che va sempre più veloce, le aziende sono forzate a premiare merito e competenza. Ciò indipendentemente dal genere di appartenenza. Questa tendenza è stata chiaramente accelerata dalla complessità delle sfide che prima la pandemia e poi le tensioni geopolitiche hanno posto all’intero ecosistema imprenditoriale”.

 

 

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