Nel terzo racconto della nostra serie estiva, troviamo il ricordo di una bella spiaggia stravolta dall’opera dell’uomo. Buona lettura!
Da piccolo abitavo in una strada che sfociava, a poca distanza da casa mia, in una piazza al centro della quale campeggiava un obelisco in cemento armato. Allora era una piazza periferica, delimitata da un torrente asciutto (che scorreva solo d’inverno, quando pioveva molto) e da una barriera di pietra lavica ancora intatta, residuo di qualche antica colata vulcanica che era arrivata fin là; e con l’Etna, maestoso, che faceva da sfondo, bianco innevato d’inverno e rosso fiammeggiante di lava, spesso, in estate. Nelle sere d’estate, la gente ci andava a prendere il fresco e i ragazzi ci giocavano a pallone, e, non essendo di passaggio, un paio di volte l’anno ci montavano i circhi e le giostre del luna park. Nel centenario delle apparizioni di Lourdes, l’obelisco venne ricoperto di marmo bianco e su di esso venne installata una statua della Madonna, per cui da quel momento in poi la piazza diventò luogo e meta di tutte le manifestazioni e processioni, sia civili che religiose.
Dalla parte opposta, invece, a qualche centinaio di metri, la strada spuntava nella piazza principale (la piazza del Duomo), e, oltre la piazza, essa era in asse, quasi come una prosecuzione, con un’altra strada ampia che arrivava fino al mare, il quale, quindi, si vedeva anche da casa mia. Era una delle strade principali del paese, un corso di un paio di chilometri largo e dritto, che molti, d’estate, facevano a piedi per raggiungere la spiaggia, oppure c’era un autobus che faceva avanti e indietro ogni mezz’ora lungo quel corso. La domenica, qualche volta, mio padre mi portava con l’autobus al mare, in quella spiaggia che si apriva senza soluzione di continuità alla fine del corso. Era una spiaggia ampia e bellissima, che si estendeva per un paio di chilometri, ricoperta di sassi lisci (le “cocole”) che diventavano sempre più piccoli man mano che ci si avvicinava all’acqua. D’estate sembrava una spiaggia brasiliana, pienissima di gente e di ombrelloni. Poco più in là c’era un piccolo porto, utilizzato, allora, quasi soltanto dai pescatori, che la mattina presto, o nel tardo pomeriggio, tornavano con le barche cariche di pesce che il più delle volte vendevano tutto direttamente sulla spiaggia, senza nemmeno arrivare al mercato o nelle pescherie. Attraccavano nel porto anche delle piccole navi commerciali, legate prevalentemente al commercio del vino, fiorente in quella zona. Anche d’inverno la spiaggia era bellissima, con il mare che lambiva la strada. Il suo fascino era dato da questa sua unione e intersecazione con la strada, che non si capiva dove finisse per dare spazio alla spiaggia, la quale, a sua volta, avanzava e retrocedeva sulla strada secondo le stagioni o secondo le condizioni climatiche.
La gente della costa la ricordava così da sempre, perché era così da tempo immemorabile, piena di gente d’estate, con il porticciolo e una chiesetta dedicata a sant’Anna (la madre della Madonna, che veniva festeggiata nella sua ricorrenza in piena estate, il 26 luglio). Oppure con il mare che a volte, d’inverno, quando c’era burrasca, allagava la strada e arrivava fino all’inizio del corso. E poi a me piaceva, girandomi verso la montagna, guardare in direzione del corso per cercare di intravedere, in lontananza, la statua della Madonnina che troneggiava sull’obelisco nella piazza vicino casa mia.
Qualche anno dopo, alcuni amministratori lungimiranti pensarono di fare una bella strada asfaltata lungo il mare, isolandola dalla spiaggia con uno spesso muraglione che la proteggesse dagli allagamenti nel periodo invernale. Ma contemporaneamente questa strada decretò la morte della spiaggia, non più raggiungibile agevolmente come prima. I bagnanti sono stati costretti a spostarsi, d’estate, più a nord, dove finisce la strada asfaltata, mentre il tratto di spiaggia, al quale una volta si poteva accedere direttamente dal corso, è divenuto ricettacolo, col tempo, di tutte le scorie depositate dal mare, ed anche della spazzatura depositata dagli uomini, offrendo dunque, a chi si affaccia dal muraglione protettivo, un panorama piuttosto triste e poco attraente.
Nino De Maria