E siamo arrivati a dieci. Stavolta assistiamo ad un incontro particolare tra “esperti” di lingua latina. Buona lettura!
Stefano e Gabriele erano due illustri professori di latino e greco, i quali insegnarono entrambi per numerosi anni nei licei. Entrambi erano dotati di un’ampia preparazione e di una profonda conoscenza della cultura classica. Il primo era però chiuso e riservato di carattere, quanto il secondo era aperto, cordiale ed estroverso.
Entrambi furono protagonisti, qualche anno fa, di una singolare disputa sulla lingua latina, che venne portata avanti dagli interessati per diversi anni, fino alla loro morte, sopraggiunta prematuramente per entrambi.
Stefano era divenuto preside, e mentre si trovava in tale veste in un noto e rinomato Liceo Scientifico, l’istituto venne dotato di una nuova e moderna sede, molto più funzionale ed ampia di quella precedente. Per l’inaugurazione del nuovo edificio, allo scopo di lasciare imperitura memoria dell’evento, venne collocata all’ingresso una lapide in marmo, scritta in latino, il cui testo fu compilato dall’allora preside Stefano. E qui entra in gioco anche il prof. Gabriele. Perché Stefano, nel redigere il testo della lapide, usò alcune espressioni latine non condivise da Gabriele, il quale, appena se ne accorse, andò su tutte le furie, perché, secondo lui, erano errate.
La questione non finì lì, perché dopo un solenne bisticcio fra i due (che, evidentemente, erano giunti a conclusioni diverse lungo il percorso dei loro studi), essa, come dicevamo, venne portata avanti per diversi anni anche attraverso le pagine dei giornali locali e andò avanti finché il Padreterno non li chiamò a Sé.
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Tempo dopo i due illustri professori, avendo trascorso qualche anno di purificazione in Purgatorio, si incontrarono in Paradiso. Dopo essersi fatto un profondo e rispettoso inchino, come si conviene tra beati, Stefano si rivolse per primo a Gabriele dicendo:
– Caro Gabriele, tu in vita mi hai contestato per le forme linguistiche in latino della lapide posta all’ingresso del Liceo Scientifico della nostra città!
– Caro Stefano – rispose Gabriele – lo feci con buona ragione, perché quelle forme sono errate.
– E io ti dico invece che sono corrette, caro Gabriele – ribadì Stefano – Vuoi forse mettere in dubbio la mia conoscenza della lingua latina?
– Con tutto il rispetto per la tua conoscenza della lingua latina, caro collega, io ti ripeto che sono errate!
– E invece sono corrette! Pienamente corrette, ti dico! – urlò quasi, Stefano, diventando paonazzo in viso.
– Errate! – continuò a ripetere calmo Gabriele.
– Corrette!
– Errate!
– Corrette!
– Errate!
I due stavano quasi per azzuffarsi (così come, naturalmente, ci si può azzuffare in Paradiso), quando, d’un tratto, si calmarono entrambi, mentre i loro visi s’illuminavano perché le loro menti erano state attraversate contemporaneamente da un pensiero improvviso, come una folgorazione che li aveva colpiti nel medesimo istante.
– E se noi… – sussurrarono entrambi contemporaneamente.
– Ma certo… – proseguì Gabriele.
– Io ci sto – asserì Stefano.
– Bene, allora diamoci da fare – conclusero entrambi.
Detto fatto, si misero immediatamente a cercare insieme… indovinate chi? Cicerone. Sì, proprio lui, Marco Tullio Cicerone, il celebre avvocato scrittore dell’antica Roma. Perché i due insigni professori, dopo la momentanea distrazione causata dal ricordo del loro bisticcio “terreno”, si erano improvvisamente ricordati di trovarsi all’“Altro Mondo”, dove si trovano anche tutte le anime di tutti i trapassati dalla creazione in poi. E chi, meglio di Cicerone, noto per la sua limpida prosa in perfetto latino classico, poteva sciogliere il loro dubbio?
La ricerca non fu facile, sia perché gli abitanti dell’Aldilà, com’è ben comprensibile, sono miliardi di miliardi, sia perché Cicerone, non essendo stato battezzato, non si trovava nel loro stesso “reparto”. Dovettero pure chiedere aiuto a qualche santo e a qualche angelo, e finalmente riuscirono a trovare il buon Cicerone, ed ebbero il permesso di incontrarlo, perché egli si trovava in quel reparto che il padre Dante nella sua Divina Commedia chiama “Limbo degli uomini onesti”.
Emozionati come due scolaretti, i nostri Stefano e Gabriele si avvicinarono dunque a Cicerone.
– Optime Marce Tullie – esordì in latino Stefano, rivolgendosi a lui.
Cicerone, da buon romanaccio qual era, diede loro una guardataccia come a voler dire:
– Ma chi so’ questi? E che stanno a di’?
Poi scoppiò a ridere, perché Lassù tutti quanti, anche se non si conoscevano e non si erano mai incontrati sulla Terra, si conoscono, sanno chi sono, che cosa hanno fatto da vivi, quando e dove sono nati e vissuti, quando e come sono morti. Per cui il caro Cicerone li aveva riconosciuti e forse aveva anche capito perché lo cercavano. E poi, latino o non latino, Lassù usano tutti un linguaggio universale che permette loro di capirsi tutti.
E così Stefano e Gabriele esposero a Cicerone il motivo per cui lo avevano cercato, raccontando anche ciò che era successo sulla Terra (e qui stavano quasi per bisticciarsi un’altra volta). Quando ebbero finito di parlare, Cicerone li guardò entrambi con uno sguardo divertito, dopo di che scoppiò a ridere.
– Volete proprio sapere come stanno le cose? – disse quindi. – Venite qua – proseguì. E posto un braccio sulle spalle di Stefano e l’altro sulle spalle di Gabriele, li attirò a sé e cominciò a parlare fitto fitto, sottovoce, come se stesse facendo loro una confidenza. Mentre Cicerone parlava, Stefano e Gabriele facevano delle facce ora meravigliate, ora serie, ora divertite, finché, quando l’illustre romano ebbe finito di parlare, scoppiarono tutti quanti a ridere di gusto per un bel pezzo. Dopo di che si lasciarono salutandosi affettuosamente come vecchi amici, e tornarono ognuno nel proprio “reparto”.
Che cosa si siano detti, per il momento lo sanno solo loro e il Padreterno. Noi, forse, riusciremo a scoprirlo quando anche noi andremo “Lassù”.
Nino De Maria