Dalla singolare storia della condanna definitiva a 8 anni e 10 mesi della ex giudice Silvana Saguto, già presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, si ricavano molteplici elementi di riflessione. La donna era accusata di corruzione, concussione e abuso d’ufficio nella gestione dei beni confiscati alla mafia, insieme con alcuni complici.
Oltre allo sdegno e all’incredulità (per l’intera vicenda) si possono ricavare emblematicamente dei tratti essenziali della profonda, quanto in molta parte inconscia natura della concezione della pena, del “delitto e castigo” nel momento cruciale della loro manifestazione pubblica.
Innanzitutto, va ricordata la difesa estrema del figlio. Questi, con tutte le sue forze, cerca di impedire che venga ripresa la madre al momento della traduzione in carcere da parte dei molti giornalisti. Ciò mentre, nell’ordinamento penale italiano, si riconosce il “diritto alla riservatezza della persona sottoposta a una situazione di cattività”.
Violazioni della privacy: il codice di procedura penale le vieta
Il codice di procedura penale (art. 114, ç 6) vieta «la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale. E ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica».
Persino la procura generale di Milano, per bocca del suo Procuratore generale, Bruti Liberati, ha ricordato che la violazione di questa disposizione costituisce illecito disciplinare. Ma che “non risultano segnalazioni del pubblico ministero e tantomeno iniziative disciplinari a fronte della frequente pubblicazione di foto e riprese di arrestati in manette. Talora, ma non sempre, con l’ipocrita “copertura“ elettronica o fisica che li rendono paradossalmente più evidenti”.
Il garante della privacy si è più volte espresso circa l’illiceità della pubblicazione di immagini con persone in manette. Mentre il Codice deontologico dei giornalisti, circa il trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, sancisce che «il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato. (Salvi i casi in cui sussistano «rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia»).
Violazioni della privacy: anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo vieta alla stampa di divulgare foto dell’arrestato non necessarie alle indagini
C’è, inoltre, una sentenza del 2005 della Corte europea dei diritti dell’uomo (“Sciacca vs Italia“), con la quale si sancisce che la divulgazione alla stampa della foto di una persona arrestata, non necessaria per lo sviluppo delle indagini, costituisce un’ingerenza non giustificata nellla vita privata.
Malgrado la disposizione netta del dettato costituzionale circa il dovere che “…le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato ..”(art. 27 della Costituzione) continua oltre misura la crudeltà dell’esecuzione.
Nessuna ciclicità storico-sociale può reggere e consentire il superamento del diritto all’inviolabilità della persona umana. Qualunque sia la sua colpa. E, ancor più, nel momento in cui lo Stato rinchiude la persona in quella “comunità totale“ che è il carcere.
Rosario Patanè