Vino e divinità / Bere con moderazione: da Ulisse e Polifemo una lezione di (in)civiltà

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Polifemo

Il vino mantiene con il cattolicesimo un rapporto stretto, anche in Quaresima. Si crede a priori che il digiuno prevedrebbe l’astensione da bevande alcoliche. Il cristiano però, ricordiamolo, fa della sobrietà una delle sue caratteristiche essenziali. A ribadirlo è lo stesso Papa Francesco nella prefazione di “Prendi un po’ di vino con moderazione” dello storico Lucio Coco, pubblicato qualche anno fa.
Nella prima lettera a Timoteo di san Paolo troviamo uno dei passi più emblematici sul senso della moderazione: “Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi”. Il fatto di berlo con l’acqua affonda le sue radici nel mondo greco. Scopriremo il motivo tra poco. Il digiuno, oggi, non è rifiuto a priori delle cose buone della vita ma esercizio a gustarle con sapienza. E’ fu questo lo spirito con il quale Paolo scrisse quelle lettere, per aiutare il suo amico vescovo Timoteo a comprendere meglio i suoi doveri.

Siamo partiti dal contesto dottrinale della Chiesa perché quello che intendiamo sottolineare e mettere in relazione con la tradizione degli antichi è proprio il senso della misura. Partiamo da un interrogativo: chi ha detto che solo l’ebrezza genera mostri?
Durante lo scontro tra il ciclope Polifemo e l’astuto Ulisse accadono una serie di cose. L’Odissea ne dà conto al capitolo nove.

Vino e divinità: Eurizione non conosceva la moderazione

Prima però conosciamo il personaggio di Eurizione. Egli è un centauro, creatura selvaggia, in cui la natura umana del busto si mescola con quella equina del resto del corpo. I centauri, come ci narra Omero, vivono in zone marginali, tra i boschi, in stato brado e non sono abituati a gustare il vino alla maniera civile. Un giorno essi vengono invitati alle nozze tra Piritoo e Ippodamia. Ma poiché non sono abituati a bere, finiscono per ubriacarsi presto e uno di loro, Eurizione, tenta addirittura di violentare la sposa scatenando un sanguinoso scontro tra le parti. Per loro il vino è una bevanda, per dirla con le parole di Omero, da tracannare, cioè da bere a gola aperta senza misura. Le conseguenze, quindi, non possono che sortire perdita di controllo e una pericolosa euforia.Ulisse offre vino a Polifemo

Vino e divinità: Anche Polifemo e Ulisse non fecero buon uso del vino

Arriviamo ora al duello tra Polifemo e Ulisse. Lo stato di totale ebrezza provato dal centauro Eurizione è lo stesso che dovette provare Polifemo nel momento che Ulisse giunse nel suo antro. Come i centauri anche i ciclopi sono creature mostruose. Non conoscono il linguaggio dell’ospitalità. Sappiamo dall’Odissea che Polifemo uccise alcuni compagni di Ulisse e imbandì un banchetto da film horror con carne umana cruda e latte non mescolato munto dalle capre che vivevano con lui nella grotta. Per Ulisse arriva il momento della vendetta.

Allontanatosi dalla nave per ispezionare la terra dei Ciclopi, aveva portato con sé un otre pieno di vino denso e avvolgente. La sua conoscenza sul vino era buona perché egli era amico del sacerdote di Apollo Marone, un attento e scrupoloso degustatore dell’antichità. Uno che se ne intendeva. Quel vino era talmente scuro che per gustarlo andava diluito, secondo la legge, con l’acqua. È facile intuire come andarono le cose: Ulisse offrì al suo nemico astemio ciclope quel vino allo stato puro il quale lo assunse tutto d’un fiato e chiedendone subito dell’altro, in tutto tre coppe piene. Vinto dal vino, Polifemo sprofondò in un lungo sonno e Ulisse mise in atto la sua vendetta trafiggendo il suo unico occhio con un palo rovente e appuntito.

Questo duello incarna la mostruosità etica di Polifemo, il cui comportamento violento è inquinato dalla mancanza totale di rispetto per gli ospiti e le regole dell’ospitalità e la cinica intraprendenza vendicativa di Ulisse, che con astuzia sconfigge facilmente il ciclope con i risvolti fatali dell’alcol. Dentro questo episodio assistiamo ad un modo di bere contrario al mondo civile.  Polifemo beve latte e non vino, per giunta non mescolato, il che lo colloca in una posizione di infrazione rispetto alla divinità perché ha infranto le regole divine.
Inoltre, beve il vino senza diluirlo con l’acqua, cosa impensabile per gli uomini civili di quel tempo.

Ulisse, ovviamente, rimase silenzioso assistendo a quel cinico inganno, lasciando che Polifemo assumesse il vino senza mescolarlo secondo le sue aberranti abitudini. Secondo le leggi dei greci, tre erano le coppe consentite perché il vino non producesse effetti negativi sul bevitore. Per Polifemo l’esito fu diverso perché, come abbiamo detto, li assunse senza diluirli con l’acqua, tracannandoli rapidamente.

Astinenza ed ebrezza generano mostri

L’episodio che si è voluto raccontare traccia un preciso limite tra il mondo civile, in cui il vino è assunto regolarmente con piacere e senso di moderazione, e un altro mondo, dove l’assenza del vino si tramuta in ebrezza come un fiume in piena.
La risposta al nostro interrogativo ci consegna una tesi paradossale: astinenza ed ebrezza, allo stesso modo, generano mostri.
Scriveva lo storico Diodoro Siculo nel I secolo d.C. che “il vino bevuto puro (àkraton) sfocia in atteggiamenti folli. Mentre se è mescolato con la pioggia di Zeus restano la gioia e il piacere, e si evita il danno della follia e della dissoluzione”.

Oggi è quantomeno insensato diluire il vino con l’acqua. La conoscenza che abbiamo acquisito su questa preziosa bevanda ci ha permesso di comprenderne meglio il valore antropologico e sociale e di smentire certe usanze degli antichi. Tuttavia, il richiamo alla moderazione è sempre attuale, oltre che trovare fondamento nelle raccomandazioni di medici ed esperti per la nostra salute.
Concludiamo con una citazione del poeta Alceo, la quale, forse, contiene la migliore delle interpretazioni su quanto vi abbiamo raccontato in questa nuova puntata di vino e divinità: “Beviamo. Perché aspettare le lucerne? Ogni giorno ha la misura di un dito”.

Domenico Strano

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