Lungo le coste della Sicilia, troviamo molteplici “garitte“, ovvero postazioni di guardia volte fronteggiare la pirateria nel periodo segnato dalla cosiddetta guerra di corsa. Approfondendo la sua storia, possiamo appurare come la nostra regione abbia avuto un ruolo cruciale, da assoluta protagonista.
Pirateria in Sicilia: il ruolo dei Saraceni nel VIII secolo
La pirateria è un fenomeno endemico riscontrato già dapprima nell’antichità, ma che nel Mediterraneo ha assunto connotazioni ben diverse da quelle di altri luoghi. A cambiarla drasticamente, saranno i Saraceni, i quali cominciarono a praticarla dal VIII secolo in poi su tutte le coste cristiane, specialmente quelle italiane e siciliane. Difatti berberi, algerini e marocchini, raggruppati allora dai cristiani col termine di saraceni, furono in grado di stabilire avamposti e persino emirati, come quello di Sicilia, grazie alle incessanti incursioni.
I cambiamenti a partire dalla conquista normanna della regione
Ma dal XI secolo in poi non sarà un’attività esclusivamente di regioni islamiche poiché, con la conquista normanna della Sicilia e il rinnovato vigore cristiano, anche i cattolici cominciarono a praticare a loro volta la pirateria. Trasformandola gradualmente in una sorta di guerra santa. Quest’ultimo aspetto non si riscontra in altri teatri storici della pirateria ben più conosciuti (ma non altrettanto longevi) di quella mediterranea.
Non è un caso che, oltre agli avventurieri, a praticarla furono gli stessi cavalieri Gerosolimitani sul finire del medioevo, con un’operatività incrementata anche dall’aiuto delle repubbliche marinare, interessate alla protezione del commercio. Tale interesse, assieme a quello religioso, farà si che, sul finire del medioevo, non siano più solo i pirati a praticare la pirateria. A farlo, piuttosto, saranno sempre di più i corsari al soldo o con il benestare di un sovrano.
Gli effetti della caduta di Costantinopoli sul fenomeno
Il punto di non ritorno, però, non arriva con questi sultanati, bensì con la caduta di Costantinopoli a opera degli ottomani nel 1453. Difatti con l’ascesa ottomana, e la successiva sottomissione dell’Egitto Mamelucco, nel XVI secolo subentrò la potenza turca come maggiore contendente del mediterraneo, allora ritenuto ormai cristiano (poi soprattutto spagnolo), dando maggiore vigore ai porti berberi, come ad esempio Algeri, Tunisi e Tripoli, i quali diventando capitali di vari stati barbareschi alle dirette dipendenze ottomane, furono i punti di partenza di imponenti incursioni.
La Spagna e la problematica eredità al Regno delle Due Sicilie
Per quanto potente, la Spagna del XVI secolo versava in continui disagi economici e pressioni militari di vario tipo, limitando la propria azione difensiva alla costruzione di numerose postazioni di guardia lungo le coste del regno (quindi anche quelle siciliane) e creando un sistema di guardia che comunicasse grazie alla cavalleria. L’elargizione di patenti e permessi per l’attività corsara permise poi l’istituzionalizzazione del fenomeno, ma non solo.
In alcuni casi si crearono persino delle piccole flotte a guardia delle incursioni più piccole e, nel 1537, le Costituzioni del Regno di Sicilia istituirono le sedi d’armi per amministrare l’apparato militare, quindi anche la sicurezza costiera. Ciò però non bastò a proteggere la Sicilia poiché, pur con le grandi sconfitte a Malta e a Lepanto, i corsari barbareschi e turchi devastarono le coste siciliane e delle isole più piccole più volte negli anni. Tale problema si ripropose anche al Regno delle Due Sicilie, con contromisure non tanto diverse da parte dei regnanti borbonici, anche se via via più efficaci col tempo.
La conseguenza più macabra della guerra di corsa: la schiavitù bianca
Anche in Sicilia, la guerra di corsa e la pirateria hanno avuto delle conseguenze rivelanti, come già specificato, per le popolazioni coinvolte. Oltre a segnare parte della diplomazia ed economia dell’età moderna, favorirono, ad esempio, il fenomeno della schiavitù bianca. Difatti, oltre ai beni materiali, i corsari razziavano le coste e le navi soprattutto per catturare schiavi o persone da riscattare. Assume particolare rilevanza il caso dei cosiddetti prigionieri nobili. Per riscattarli, la Sicilia, così come altri paesi, dovette istituzionalizzare nel 1585 dei fondi appositi.
Altra prerogativa, più accidentale che altro, delle incursioni era anche quella di liberare i propri compagni già catturati dai nemici. Infatti gli schiavi alimentavano l’economia locale di cristiani e islamici, così come la forza navale. A tal punto che sussistette in maniera preponderante l’utilizzo delle galee e, quindi, il continuo fabbisogno di rematori. Per loro, il destino era una vita breve. L’unica speranza era di poter essere recuperati dai corsari della propria stessa religione d’appartenenza. Nel caso islamico, invece, la conversione era la soluzione per progredire fino alla liberazione dalla condizione di schiavitù.
Cose simili sono accadute anche ad alcuni personaggi noti, divenuti protagonisti della guerra di corsa. È il caso di Uccialì, calabrese che dopo aver subito la cattura e la schiavitù al remo, divenne successivamente corsaro e infine ammiraglio ottomano. Il suo esempio dimostra come la guerra di corsa fu anche un’opportunità di ascesa sociale per coloro che la praticavano.
Il declino della pirateria mediterranea: le cause
Naturalmente, come nei più famosi Caraibi, anche la pirateria mediterranea e la guerra di corsa in Sicilia hanno avuto una conclusione. Il suo declino giunge infatti tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Ciò avvenne, nel caso mediterraneo, a causa di numerosi fattori. Tra questi, l’avanzata tecnologica dell’Europa in ambito militare, il declino della potenza ottomana e soprattutto le operazioni militari con cui tutte le potenze occidentali (Stati Uniti inclusi) posero fine al fenomeno. Il suo epilogo coincide, infine, con la presa francese di Algeri nel 1830 e la successiva spartizione del Maghreb in conseguenza della corsa all’Africa.
Giuseppe Emanuele Russo