L’agricoltura si trova a fronteggiare i cambiamenti climatici: l’uso di acque reflue depurate sarebbe essenziale per affrontare la siccità, fra le diverse strategie di intervento possibili in quest’ambito.
Le acque reflue contro la siccità: Il quadro
Vari documenti e report di stampo ambientale (redatti da enti quali Fao, Ispra, Arpa) evidenziano come l’agricoltura italiana sia molto vulnerabile alle conseguenze dei cambiamenti climatici (sia in termini qualitativi che quantitativi), una condizione similare a quella degli altri stati dell’area mediterranea. Al conseguente decremento della produzione agricola seguirà lo spostamento di certi areali di coltivazione verso nord e ad altitudini maggiori. Avverrà anche un calo delle risorse idriche e delle proprietà qualitative del terreno con una minore fertilità ed un incremento della desertificazione. Soprattutto le produzioni DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) ed IGT (Indicazione Geografica Tipica), punti cardine del comparto agricolo italiano anche a livello internazionale sono a forte rischio per via delle temperature e della quantità ridotta di precipitazioni.
Le acque reflue contro la siccità: qualche dato
L’agricoltura è il settore produttivo con il più ampio utilizzo di acqua. In Italia infatti il 50% delle risorse idriche è utilizzato per fini irrigui. Il 20% trova impiego nell’industria, un altro 20% per uso potabile ed il rimanente 10% in ambito energetico. Il riciclo delle acque reflue in agricoltura consentirebbe quindi la diminuzione del consumo idrico, riservando le risorse idriche migliori all’uso idropotabile.
Questa tecnologia è già di frequente uso in diversi stati e consigliata in maniera crescente da varie organizzazioni internazionali promotrici dello sviluppo sostenibile.
Gli Stati Uniti (California, Florida e Texas) vantano una lunga esperienza in quest’ambito. L’Italia, invece, avrebbe un buon potenziale che però risulta al momento non ancora ottimizzato.
Le acque reflue contro la siccità: il rapporto del CREA e la situazione in Italia
Il CREA ha pubblicato a tal proposito una ricerca a cura di Simonetta De Leo, Guido Bonati, Antonella Di Fonzo, Marco Gaito e Sabrina Giuca. Il report mette in risalto come il riutilizzo delle acque reflue trovi riscontro anche nel Regolamento UE 741/2020, che descrive le disposizioni di base per l’attuazione di questa pratica. I dati evidenziano come in Italia circa il 50% delle acque reflue depurate possano essere rese usufruibili. Vi sono anche delle normative della Regione Siciliana al riguardo come la legge 22 marzo n. 4 2022 – Norme in materia di riutilizzo delle acque reflue urbane e del relativo decreto attuativo del Dipartimento Acque e Rifiuti n. 6/gab del 6 febbraio 2024 e questo ricco sistema legislativo potrebbe consentire un rifornimento di acqua ulteriore con una buona stabilità e svincolato dalla stagionalità. I potenziali benefici ambientali sono legati anche al minore uso di fertilizzanti sintetici. Sicuramente fra le limitazioni all’attuazione di questa strategia annoveriamo la carenza di impianti idonei, un’insufficiente rete di distribuzione e una buona dose di diffidenza del consumatore verso prodotti agricoli coltivati con questa tecnica.
Diventa quindi fondamentale prevedere investimenti per il superamento di queste problematiche. Molto importante sarebbe il raggiungimento di un livello paragonabile a quello di altri Paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Malta e Cipro). Per quanto riguarda il versante economico – ovvero i costi necessari per rendere i depuratori a norma e quelli gestionali – questi dovranno essere analizzati dal legislatore per impedire che gravino solo sui produttori agricoli.
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