Intervista / La visita ad Limina nel racconto del Vescovo Raspanti

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Incontro significativo per i vescovi di Sicilia che, dal 29 aprile al 3 maggio 2024, si sono recati a Roma per laVisita ad Limina Apostolorum, momento di comunione con il Vescovo di Roma, Papa Francesco, con la Chiesa. La visita ha principalmente due scopi: ritrovarsi in preghiera alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e incontrare il Santo Padre per rafforzare l’unità della Chiesa nella fraternità e il confronto. A raccontare l’emozionante esperienza dei giorni romani è Mons. Antonino Raspanti, presidente della CESi e vescovo della diocesi di Acireale, che ha rilasciato una lunga intervista nella quale ci restituisce l’immagine ufficiale dell’evento ed una più personale.

Iniziamo da una domanda tanto banale quanto importante. Ci spiega cos’è una Visita ad Limina Apostolorum?

Certo, la visita ad Limina Apostolorum è un’antica usanza, per così dire, della Chiesa cattolica, attraverso la quale le singole diocesi si relazionano con la Chiesa, il Papa e la Santa Sede. Il Santo Padre esercita un’autorità giurisdizionale su tutte le diocesi in comunione con Roma e ogni cinque anni, solitamente, convoca le conferenze episcopali regionali per un confronto. Nel nostro caso la convocazione è avvenuta dopo dieci anni dalla precedente occasione.

La visita di volta in volta viene impostata dal Papa e dalla Santa Sede in maniera diversa l’una dall’altra, cioè ogni Papa dà un’impostazione propria a quest’evento. In questo caso era stato previsto, e così è stato, un incontro diretto tra il Papa e tutti i Vescovi della Regione Sicilia, insieme per una lunga conversazione sullo stato generale della propria Diocesi e della Regione in quanto tale.

sicilia vescovi roma liminaVescovi e Diocesi come si sono preparati per questa Visita ad Limina Apostolorum?

Il primo contatto previo all’incontro è arrivato dai Dicasteri, che sono gli organismi operativi dei singoli settori della Chiesa Cattolica. I dicasteri hanno fornito delle tracce di domande e richiesto ad ognuno di noi vescovi alcuni dati da presentare. Partendo da questi punti è stato possibile per le Chiese locali e le singole Diocesi, realizzare un resoconto di quello che è accaduto nei dieci anni, riflettendo sui singoli settori. La sintesi delle relazioni di ogni Diocesi è poi stata inviata prima della visita diretta con il Papa, costituendo così la parte interpretativa espositiva della Visita stessa.

Questa viene poi calendarizzata dalla Santa Sede e ogni regione ecclesiastica viene ricevuta. In Italia le regioni ecclesiastiche sono 16, perché alcune regioni civili sono accorpate, come ad esempio Abruzzo e Molise o Piemonte e Valle D’Aosta.

Quanto è importante per un Vescovo la Visita ad Limina Apostolorum? E come l’ha vissuta Lei in prima persona? 

Innanzitutto per me è stata la seconda Visita ad Limina. E’ stata l’opportunità e l’occasione di fare un lavoro interno alla Diocesi, che non ho fatto da solo e che ho compiuto con i più stretti collaboratori della curia. Fondamentale anche il lavoro degli uffici diocesani, dei quali i singoli direttori si sono occupati del proprio settore di competenza. Questo ha permesso che l’occasione diventasse di confronto, comunione, collaborazione e scoperta. Tante volte, quando vivi giorno per giorno una realtà, non sai “quantificare” del tutto i dati; questa è stata occasione per tirare le somme e vedere emergere gli aspetti positivi e negativi. Quindi la prima parte di preparazione, che è durata sostanzialmente tre mesi circa, è stata molto bella, fruttuosa e certamente interessante.

E la seconda parte? 

La seconda parte, quella vissuta in loco, per me è stata una tripla emozione. Primo per il fatto di aver vissuto una settimana coi miei confratelli vescovi in tutto e per tutto. E quindi significa discutere e confrontarsi: ciascuno di noi parlava delle cose della propria diocesi e quindi c’erano scambi di opinioni, esperienze, vissuto. Il secondo motivo di emozione è stato il confronto col Papa e con i tutti i dicasteri, che hanno reso quest’esperienza importante nel dare e ricevere i consigli, nati dall’esperienza del nostro vissuto.

Terza ragione di emozione, per quanto mi riguarda in modo particolare, è l’aver vissuto questa seconda Visita ad Limina come Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana. Fin dalla fase preparatoria mi sono occupato di predisporre e coordinare l’intervento di tutti i miei confratelli, dividendo i compiti che ciascuno ha poi svolto nei vari giorni della Visita. Anche nelle celebrazioni nelle Basiliche (ndr. è stata celebrata la Santa Messa nelle quattro Basiliche Maggiori) ci siamo alternati nella presidenza eucaristica. Quindi mi sono trovato ad avere un ruolo di responsabilità. In questa visita mi sono scommesso più di quanto avevo fatto la prima volta e quindi è stato sì faticoso, ma direi anche molto soddisfacente.

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Quali sono stati i momenti salienti della sua Visita ad Limina? 

Ovviamente per tutti noi la visita al Santo Padre, ma per me personalmente è stato molto importante anche quando ho presieduto la S. Messa in San Pietro nella tomba dell’Apostolo Pietro. Da Presidente della CESi hanno dato a me la Presidenza in quel luogo, nelle altre basiliche hanno presieduto altri confratelli vescovi.

Presiedere l’Eucarestia nella tomba di San Pietro è stato emozionante e molto intenso. Profondamente significativo per il valore apostolico di quel luogo, cioè essere in comunione con Pietro ed assicurare la fedeltà al Vangelo per il territorio e il popolo a noi affidato. Poi, naturalmente le emozioni sono state tante anche nella visita col Papa, che ho dovuto coordinare io, e quando ho relazionato in Segreteria di Stato. L’argomento principale è stato quello dei rapporti tra la Conferenza Siciliana e gli enti governativi: la Regione e gli altri Enti Pubblici del territorio. Anche in quel caso c’è stata una lunga e bella discussione nella quale ho composto il discorso introduttivo e una relazione. Dunque ho avuto modo di interagire in prima persona.

Possiamo definire positivo l’incontro coi Dicasteri? 

Assolutamente si. Gli incontri coi Dicasteri sono stati molto proficui. Ad esempio l’incontro con il Dicastero della comunicazione e il Dicastero della prima evangelizzazione, l’annuncio. L’incontro con Mons. Fisichella è stato incisivo perché abbiamo discusso molto sulla questione giovani e la difficoltà di trasmettere loro la fede. E’ stato molto interessante anche l’incontro con il Dicastero del Clero.

Anche questi sono stati momenti molto toccanti, soprattutto in maniera personale. C’era infatti la possibilità per ogni Vescovo, dopo aver sentito la relazione iniziale, di poter parlare proponendo la propria opinione o esperienza. A me è capitato di intervenire quasi in tutte le occasioni. Primo perché avevo la visione più ampia, essendo il vescovo Presidente. Secondo perché sono anche uno dei vescovi più anziani della Sicilia con 13 anni di Episcopato, e questo significa conservare la memoria di tante cose.

E’ stato possibile seguire i momenti salienti della Visita ad Limina attraverso i social. La comunicazione ha  giocato un ruolo importante secondo Lei? 

Il ruolo della comunicazione in questa esperienza è stato fondamentale. Il Dicastero della comunicazione, che esiste e che abbiamo incontrato, è stato uno dei più interessanti per noi. Abbiamo avuto un ottimo riscontro. La comunicazione disegna quasi il volto della vita cristiana e concreta, nel territorio lo sagoma perché “porta fuori” e ognuno si fa un’idea reale di quello che significa vivere alla luce del Vangelo.

Negli incontri sono stati toccati dei temi “caldi”. Quale immagine ci viene restituita della Sicilia da questo dialogo?

Secondo i nostri occhi, di noi Vescovi ed anche del Santo Padre e dei dicasteri, viene fuori l’immagine di una terra difficile che vive molte contraddizioni. Incide sicuramente la questione della legalità, ma anche la geografia del luogo. La Sicilia è terra di approdo di migliaia di persone da oltre trent’anni, ma è solo tale. Possiamo vedere e toccare con mano chi arriva, ma ci rendiamo anche conto che chi arriva in tempo breve è pronto a ripartire per altre terre. Il 98% degli immigrati è solo di passaggio. Solo noi siciliani vediamo e viviamo il volto più doloroso della vicenda: i morti, la difficoltà di integrarsi ed accogliere, l’impotenza di chi lascia casa in cerca di un’opportunità migliore. Noi ci confrontiamo con chi arriva in condizioni umanamente disastrose ma anche con una certezza: il popolo che migra non vuole restare in Sicilia.

Vanno via perché la realtà della nostra isola è povera, non sicura dal punto di vista lavorativo e sociale. A questo si aggiunge la concretezza di alcune forme di illegalità. Quando pensiamo che illegalità sia sinonimo solo di mafia sbagliamo: lo è ad esempio anche il caporalato, una realtà triste che coinvolge agricoltura, muratura e altre realtà di manovalanza. C’è un volto grigio della nostra terra che in questi incontri è emerso.

Un’isola povera in cui è difficile restare tanto per i migranti quanto per i nativi?

E’ innegabile che ci sia un esodo che non si ferma, con tanto di calo di nascite. La Sicilia si impoverisce anche dal punto di vista sociale perché ad andare via sono anche molti giovani, che quasi sempre hanno studiato e sono persone di una fascia culturale più alta. Quindi l’impoverimento è doppio perché noi investiamo sui nostri figli che studiano, ma poi questo investimento lo perdiamo quando vanno via. Questo comporta che dal punto di vista umano e intellettuale le forze vengono meno nei nostri territori e contribuisce a rendere il bilancio tendente al negativo, dal punto di vista socio economico.

Cosa può fare la Chiesa per contrastare questa nostra realtà?

Noi siamo chiamati ad evangelizzare, a “stare accanto” come il Papa ci ha ripetuto più volte: stare accanto è vivere fino in fondo queste situazioni davvero drammatiche, è comunque una lotta quotidiana del popolo siciliano. Abbiamo tanti esempi virtuosi in Sicilia che abbiamo richiamato alla memoria, ad esempio Livatino, Puglisi e tanti altri benemeriti. Loro ma non solo: tanti imprenditori, lavoratori, amministratori pubblici che quotidianamente svolgono il proprio lavoro al meglio. E’ questa Sicilia positiva che deve contaminare tutti i siciliani. Ci sono padri e madri di famiglia che lavorano per un futuro migliore.

Noi Vescovi possiamo quindi condividere in tutto e per tutto la vita di questa terra della quale noi stessi siamo figli, in realtà, perché tranne un paio di noi, siamo tutti siciliani e quindi conosciamo bene l’humus sociale e culturale. Anche coloro che non lo sono però ci aiutano a comprendere meglio la nostra terra, poiché riescono a vedere l’insieme con un certo distacco e possono individuare realtà che per coloro che ci vivono da sempre, magari non riconoscono più o non si accorgono che accadono. Questo “mescolamento” tra noi è utile.

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Quali sfide e opportunità ha identificato per la sua Diocesi durante questa visita?

Non sono emerse grandi sfide dal punto di vista “personale”. Non c’è stato un focus specifico sulle singole diocesi, ma è stato sempre piuttosto generale e comune il dibattito. Però, data la preparazione che abbiamo fatto e quindi la presa di coscienza che abbiamo avuto nella prima fase, sono emerse delle peculiarità da attenzionare. Ascoltando gli altri e tutto quello che ci è stato detto ci sono delle cose che ho fatto mie e porterò in Diocesi. Prima di tutto, il quesito cruciale, è come non interrompere la catena della trasmissione della fede, poiché rischia di arrestarsi con la fascia giovanile. La questione intergenerazionale è importante e rappresenta uno snodo della fede che non voglio ignorare.

In parole povere significa comprendere come riuscire non solo a parlare con i giovani, ma anche con gli adulti e le famiglie, che spesso sono una sola cosa. Parlare con loro, ma anche con le istituzioni scolastiche e tutte quelle realtà che ruotano attorno alla vita umana, concreta, che nasce e che cresce, significa poter fare rete per capire come e in che modo la trasmissione della fede possa continuare.

Attorno alla centralità dell’evangelizzazione ruotano poi comunicazione, rapporti col clero, catechesi e liturgia: come viviamo o non viviamo la nostra fede. Tutto verte attorno a questo punto cardine che focalizza riflessioni e polarizza tutto con il fine ultimo dell’evangelizzazione stessa, che avviene anche tramite il nostro andare per il mondo portando una testimonianza fatta non solo di parole ma anche di gesti concreti.

Cosa è emerso dall’incontro coi Dicasteri? 

Sicuramente questi incontri hanno permesso una maggiore presa di consapevolezza. Per esempio al dicastero dei laici, della famiglia e della vita abbiamo discusso sul laicato associato, come cioè riusciamo a formare ed a far venir fuori dai nostri ambienti, nella vita sociale, nella vita pubblica o nella vita delle famiglie, laici che siano annunciatori credibili. Infatti sono soprattutto i laici che, non solo per numero ma anche per ambienti che frequentano, sono quelli che naturalmente sono missionari. E’ però evidente che i luoghi dove poi la comunità si ritrova, dove vive, cresce e si nutre sono appunto parrocchie, movimenti, associazioni. Realtà che a volte soffrono la stanchezza.

Innegabile che ci siano ancora difficoltà che ci trasciniamo dal Covid, quali la dispersione e la frammentazione. La cultura che si respira è ancora spesso fortemente secolarizzata e bisogna valutare bene i percorsi migliori per arrivare alla meta. E’ difficile oggi districarsi tra la distrazione e l’attrazione per quello che è lontano dalla Chiesa. A tratti si è portati a concentrare l’attenzione in quelle cose che hanno tanti stimoli ma che non lasciano poi nulla perché sono solo di superficie. Di questo ne siamo consapevoli ed è per questo che siamo alla ricerca di soluzioni.

Tra gli incontri anche quello con padre Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi.

Abbiamo avuto un bell’incontro con padre Mario Grech, con cui abbiamo parlato del cammino sinodale che sta facendo la Chiesa Universale. Abbiamo raccontato quello che sostanzialmente stiamo facendo anche alla luce delle criticità e il certo scetticismo che c’è in alcuni, sia sacerdoti sia laici e forse anche in qualche vescovo. Scetticismo che questo cammino possa portare a qualcosa di buono. Da parte sua c’è stata l’assicurazione che più che a singoli risultati precisi di cambiamenti bisogna guardare allo stile e alle nuove prassi che il Sinodo suggerisce.

Ci dobbiamo esercitare, imparare a camminare insieme, a non andare in fila sparse, non cedere ad un clericalismo fatto dai preti o da alcuni laici che comandano, come se fossero i proprietari in esclusiva del Vangelo e della vita cristiana. E’ necessario riuscire a fare acquisire ad ogni battezzato la consapevolezza e la responsabilità del proprio battesimo. Essere cristiani ed essere parte della Chiesa è ciò da cui ripartire, perché veramente siamo tutti, in maniera attiva, parte di questa Chiesa.

Dobbiamo accettare il nuovo stile e acquisirlo attraverso appunto queste pratiche, questi passaggi che stiamo facendo ai quali sicuramente seguirà anche qualche modifica della prassi sia a livello di Chiesa locale che forse anche di Chiesa universale. Sicuramente nel corso del prossimo anno avremo conclusioni e direttive da seguire, senza dimenticare una vera conversione pastorale, ovvero un modo di vedere la Chiesa e di agire pastorale che un po’ si rinnovi e tenga conto di quanto emerso dalle singole fasi del Sinodo.

Che risposta vede arrivare dalle parrocchie della sua Diocesi sul Sinodo? 

Secondo me, anche confrontandomi con i responsabili di questo cammino locale, qualcosa c’è che inizia a muoversi. In generale mi accorgo che tanti laici o anche diversi preti cominciano ad essere sensibili. Magari non siamo ancora molto abituati, questo è vero. Però si comincia a essere più attenti, cioè si comincia a capire che alcune cose bisogna cambiarle, anche alcune prassi quotidiane. Non è certamente facile svoltare nella mentalità, però ci sono delle azioni che gradualmente possono supportare il cambiamento, diventando pratiche educative.

Questo come potrebbe tradursi?

Prima ancora di prendere delle decisioni nei vicariati, nelle parrocchie e nei consigli di partecipazione stiamo attenti ad alcune procedure, consultiamo o trasferiamo una parte di responsabilità senza accentrarla; in questo modo i risultati si possono vedere. La presa di coscienza che in molte comunità va di pari passo con gli aggiustamenti strutturali e le opere di restauro negli edifici di culto può solo aumentare il crescere di una collaborazione tra parroco e parrocchiani. Seguire, essere presenti, sapere, sentirsi partecipi e darsi da fare per trovare fondi e materiali rende vivo il principio sinodale della responsabilità condivisa.

Quali sono i passi che intende compiere sulla base del feedback ricevuti in questa Visita ad Limina Apostolorum? 

Ne abbiamo già parlato in Consiglio presbiterale e ne parleremo ancora anche nel Consiglio Pastorale Diocesano. Tenteremo di impostare già il nuovo Anno Pastorale con qualche aggiustamento per cercare di accorciare le distanze tra, per esempio, vescovo, uffici Diocesani e parrocchie. Accorciare la distanza farà in modo che ci sia una continua e maggiore assistenza, oltre che comunicazioni più veloci. E’ qualcosa che stiamo già iniziando a fare grazie alla visita pastorale, che ci aiuta molto in questa direzione. Ma la visita pastorale è però una cosa un po’ straordinaria per la singola parrocchia.

Ci vuole una ordinarietà per uniformare alcune consuetudini, perché le prassi sono diverse. Bisogna poi rivivificare tutti i settori della vita pastorale e sarà sicuramente possibile grazie al fatto che comunque abbiamo anche un bel numero di sacerdoti giovani, ordinati negli ultimi 15 anni. Già tante cose sono accadute e possono continuare ad accadere e dobbiamo avere la pazienza di correggere qualcosa ma anche di saper aspettare alcuni risultati. Tutto subito non si ha.

Una Diocesi viva, insomma, ma che può ancora migliorarsi

Mi sento di poter dire, rispetto anche agli stessi anni che io sono qua, che io una certa vivacità la noto. Una vivacità evangelizzante ma anche una certa responsabilizzazione.

Riconosco però anche una stanchezza in alcuni settori nella vita pastorale delle parrocchie. In alcune realtà mancano i ricambi in molti campi, vedi i catechisti o i ministri straordinari: se si è tutti un po’ più anziani e non ci sono i ricambi questo affatica e quindi subiamo condizioni ed eventi.

Creiamo le condizioni perchè il ricambio sia naturale, cioè prosecuzione di un impegno preso dai nostri genitori col Battesimo e che noi stessi abbiamo riconfermato con la Cresima.

In che modo ritiene che la Visita ad Limina Apostolorum possa influenzare il futuro della nostra Diocesi e del suo ministero pastorale?

Penso che incoraggerà, me e quindi la Diocesi, almeno ad apportare alcuni cambiamenti o ad aprire cantieri di riflessione. Per esempio, prendiamo l’iniziazione cristiana della quale tanto si parla. Sicuramente avremo dei risultati e delle indicazioni. E quindi dovremmo aprirci a nuove domande per capire come recepire le indicazioni, viverle e attuarle. La stessa liturgia che è vissuta un po’ stentatamente in molte parrocchie, in maniera un po’ forse languida, patisce questa condizione. Quindi penso che riusciremo ad aprire qualche cantiere di riflessione e avremo modo di discutere insieme per produrre un vero cambiamento.

Per quanto riguarda me personalmente mi sento di dire che non torno con grandi novità. Sicuramente ho preso più coscienza delle cose che già in parte sapevo e in parte sto attuando e sto vivendo. Insomma, abbiamo ricevuto un indirizzo d’orientamento che già avevo iniziato a conoscere e che cerco di portare nelle discussioni che abbiamo in tutti gli eventi della diocesi. Per cui mi sono sentito in buona parte confermato e casomai, appunto, stimolato ad accorciare le distanze e seguire un po’ meglio i vicariati, cosa che posso fare tramite il supporto dei vicari foranei, e desidero seguire un po’ meglio gli uffici di Curia, con la collaborazione del Vicario Generale.

Inoltre voglio proseguire con la Visita Pastorale, che mi permette di stare vicino alle parrocchie. Ho deciso di intraprendere questo cammino non ad inizio del mio Ministero ma a Ministero avanzato e questo mi permette non di andare per farmi conoscere, ma per rinsaldare i rapporti che già negli anni si sono creati. Nella semplicità e nell’autenticità della visita pastorale ho potuto incontrare tanti che già conosco e al contempo nuovi volti che mi hanno accolto con gioia, invitandomi a tornare presto tra loro.

Chiara Costanzo