Con altre sei isole minori, su un territorio complessivo di 92 km quadrati, è stato costruito il più colossale porto franco internazionale. Qui, da gennaio a maggio sono transitati 540 miliardi di dollari
Il paradiso fiscale di Labuan è iniziato nel 2010, quando il Governo malese ha deciso di sviluppare il settore della finanza islamica. Nata negli anni Settanta in Medio Oriente, la finanza islamica segue la Sharia, la legge islamica, che fissa tre principi: il divieto di chiedere interessi; la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore; l’obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su di un attivo reale. Ma qui accorrono anche finanzieri europei e americani.
Chi non ricorda la “Perla di Labuan”? Memorabile personaggio di Emilio Salgari, Lady Marianna Guillonk era l’amata da Sandokan e la nipote di James Guillonk, lord inglese stretto collaboratore del governatore James Brooke, detto “lo sterminatore dei pirati”. Il Territorio Federale di Labuan, in Malesia, comprende l’Isola di Labuan e sei altre isole minori (Pulau Burung, Pulau Daat, Pulau Kuraman, Pulau Papan, Pulau Rusukan Kecil, e Pulau Rusukan Besar), che insieme formano un’area di 92 km. Le isole si trovano a 8 km dalle coste del Borneo, vicino allo Stato malese di Sabah e allo Stato sovrano del Brunei Darussalam, sull’angolo nord della Baia del Brunei e si affacciano sul Mar Cinese Meridionale. Neanche la fantasia di Salgari avrebbe potuto immaginare quel che Labuan – un tempo sede delle operazioni commerciali inglesi del Borneo – è diventato oggi: un colossale porto franco internazionale. Fonti della stampa internazionale raccontano che nelle Fondazioni che hanno sede nell’isola, tra gennaio e maggio di quest’anno, sono transitati 540 miliardi di dollari.
La finanza islamica. Il paradiso fiscale è iniziato nel 2010, quando il Governo malese ha deciso di sviluppare il settore della finanza islamica. Nata negli anni Settanta in Medio Oriente, la finanza islamica segue la Sharia, la legge islamica, che fissa tre principi: il divieto di chiedere interessi; la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore; l’obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su di un attivo reale. Da quando sono nate, le banche islamiche sono cresciute a un tasso annuo del 15% e secondo le previsioni, alla fine del 2015, potranno raggiungere i 2.800 miliardi del mercato finanziario globale. È stato seguito il modello del Liechtenstein ed è stata permessa la creazione di trust e fondazioni, con controlli decentralizzati, quindi non riscontrabili, che consentono una serie di vantaggi: garantire il segreto bancario, dare ai detentori dei capitali la possibilità di nominare i loro amministratori e di essere ceduti senza molte difficoltà in caso di successione. Trus e Fondazioni, possono sfuggire ai controlli fiscali ed essere aperti da società registrate in altri paradisi fiscali.
La necessità dei paradisi fiscali per gli obiettivi finanziari mondiali. Il G8, a scadenza bi-annuale, dichiara la guerra ai paradisi fiscali. Labuan, come tutti gli altri, va a gonfie vele. Nei giorni scorsi, il Labuan Financial Services Authority (Fsa) ha annunciato che la Labuan International Business e Financial Centre (Ibfc) ha superato le 10mila imprese costituite nel corso del terzo trimestre di quest’anno. Alle imprese autorizzate vengono concesse licenze per condurre servizi finanziari, tra le quali banche, istituti finanziari islamici, trust, servizi di segreteria e fiduciari per consentire il business internazionale. Più del 70% delle aziende del Labuan hanno origine dalla regione asiatica. Il resto proviene dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente. Secondo l’Ocse, ogni anno l’Europa perde 1.000 miliardi di euro tasse a causa dei paradisi. Si stima che nel 2012 il totale dei capitali offshore ammontava a 21 mila miliardi di dollari di soli depositi, più altri 10 mila miliardi in beni vari. La cifra equivale al doppio del Pil Usa più quello del Giappone. Interessi enormi, quindi, di cui si fanno interpreti 10mila istituti di credito sparsi per il mondo e, naturalmente, le multinazionali.