Interviste siciliane-1 / Maria Paternò Castello dei marchesi di San Giuliano

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Maria Paternò castello col figlio Pasquale

Inauguriamo questa rubrica dedicata a personaggi siciliani con un’ospite d’onore, una nobildonna proveniente da un’antica casata siciliana, la baronessa Maria Pennisi di Santa Margherita. Figlia del marchese Antonino Paternò Castello, VIII marchese di San Giuliano, ministro degli Esteri (1905-1906/1910-1914), ministro delle Poste (1899-1900) senatore (1905-1914), più volte deputato, sindaco di Catania (1879-1882), e di Enrichetta Statella dei conti di Castagneto, dama di corte della regina Margherita di Savoia.

Bentrovata, baronessa. Siete nata e cresciuta a Catania, nell’imponente palazzo San Giuliano, proprio di fronte al palazzo dell’Università degli Studi. Ci volete raccontare come avete trascorso gli anni catanesi?

Sono nata nel 1880 nella camera da letto dei miei genitori, nel palazzo di famiglia. Eravamo tre figli: mia sorella primogenita Caterina, chiamata Carina, e mio fratello Benedetto Orazio, che acquisisce il titolo di IX marchese di San Giuliano.  Abbiamo avuto un’infanzia felice, nonostante trascorressimo poco tempo coi nostri genitori impegnati nei tanti eventi pubblici.
Noi figli eravamo seguiti da precettori provenienti dalla Svizzera, severi e preparatissimi. All’età di 13 anni mio padre decide di mandarmi al Collegio Sacro Cuore Trinità dei Monti di Roma, un istituto religioso gestito da suore di origine francese, che anni prima aveva accolto mia sorella, per forgiare il mio carattere. Ma soprattutto per divenire una donna degna dell’aristocrazia siciliana.Maria Paternò Castello

Nel 1904 sposate il barone Giuseppe Pennisi di Santa Margherita. È l’anno in cui vi trasferite nel palazzo di famiglia di vostro marito. Come avete affrontato il cambiamento di vita da una grande città come Catania a una cittadina di provincia?

Premetto che il mio matrimonio è stato fondato sull’amore cristiano, come possono testimoniare le numerose lettere che lei ha riordinato. In casa Pennisi mi hanno accolta come una principessa. I miei suoceri, il barone Pasquale e la baronessa Grazia Calì Vigo, mi hanno trattata, fin dal primo giorno, come una figlia, nonostante ne avessero nove e altrettanti generi e nuore. Io e Giuseppe abbiamo vissuto in un appartamento di dieci camere, occupavamo una parte del piano nobile, situato all’ultimo piano del palazzo di corso Savoia.
I primi mesi non furono facili, perché ero abituata a vivere in un palazzo che contava più di cento stanze. Ci si perdeva! Col tempo mi sono abituata a vivere ad Acireale, mi piaceva. Innanzitutto mi sono iscritta nella Compagnia delle Dame di Carità di San Vincenzo de’ Paoli, che a quell’epoca contava circa 114 nobildonne. Ogni mattina andavo a messa in Cattedrale e al ritorno, solitamente, sedevo in terrazza a leggere un buon libro francese.

A proposito della vostra grande fede e generosità cristiana, ci volete ricordare i vostri interventi in occasione del I Congresso Eucaristico Diocesano svoltosi ad Acireale?

Non dimenticherò mai quei giorni di profonda devozione al corpo mistico di Gesù Eucarestia. Il Congresso si è svolto il 15 giugno del 1913. Sono stata relatrice in due conferenze: nella prima ho parlato de L’Eucarestia e i doveri verso i dipendenti; nella seconda de L’Eucarestia e la donna.
Ricordo benissimo che entrambi i miei interventi sono stati seguiti da tanta gente devota. Col vescovo di allora, monsignor Giovanni Battista Arista dell’Ordine dei Filippini, abbiamo scelto questi argomenti per approfondire il rapporto tra l’Eucarestia e il mondo dei lavoratori e il ruolo della donna nell’Ostia consacrata.

Voltiamo pagina. Come ultima domanda, vi vorrei chiedere come è cambiata la vostra vita quando vostro marito è stato eletto deputato del Regno d’Italia nelle elezioni del 1913.

Eravamo distanti fisicamente, ed entrambi scrivevamo una media di quattro lettere al giorno, per non contare i numerosi telegrammi spediti e ricevuti. Scrivere rinnovava in me il desiderio di essere moglie; devota del Cristo Redentore, colui che unisce in eterno nel sacro vincolo del matrimonio.
Giuseppe mi aggiornava quotidianamente della sua vita politica romana; in cambio, lo rendevo partecipe della vita politica, sociale, religiosa che si svolgeva ad Acireale. Ero la lunga mano di mio marito: intrattenevo una rete di rapporti con personalità di alto rango politico, aristocratico ed ecclesiastico, per tutta la Sicilia.

 

 

Marcello Proietto

 

 

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