Parlamento europeo: invasione di campo su aborto e obiezione di coscienza

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Paul RUBIG, A. GIORDANOIl documento “sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi” (firmato dalla deputata portoghese Edite Estrela) torna in commissione dopo la bagarre in emiciclo. Ma sta di fatto che la maggioranza dell’aula ha dimostrato più volte di non essere pro-life. Monito della Comece a rispettare “l’unità nella diversità”. In vista del rinnovo dell’Europarlamento si ripropone il tema del ruolo dei credenti.

Può esistere un “diritto all’aborto”? Si può limitare il diritto all’obiezione di coscienza qualora questo si ponga quale “ostacolo” al presunto “diritto all’aborto”. Sono le principali forzature etico-politiche contenute nella relazione “sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi” (firmata dalla deputata portoghese Edite Estrela) portata in plenaria al Parlamento europeo il 22 ottobre dopo che il testo era stato varato in sede di commissione per i diritti della donna. Ma il documento – che non avrebbe comunque valore giuridico cogente – è stato rimandato in commissione parlamentare dopo una vera e propria bagarre in emiciclo.
Al momento del voto un testo alternativo alla relazione Estrela, dai connotati pro-life, è stato respinto a grande maggioranza; ma gli eurodeputati hanno subito dopo deciso di bloccare anche la relazione principale, che ora riprende l’iter in commissione, dove potrebbe essere ridiscussa, modificata e rilanciata, oppure abbandonata. Carlo Casini, presidente della commissione Affari costituzionali dell’Assemblea Ue, sostiene, giustamente, che con il “rinvio in commissione, il Parlamento europeo ha detto che è ora di finirla con il metodo obliquo, arrogante” e “ingannatorio” con cui “le questioni bioetiche vengono presentate continuamente” all’attenzione parlamentare.
Il testo in questione affronta numerosi argomenti, dalla lotta all’Hiv all’educazione sessuale, dalla tutela delle donne migranti fino ai rapporti tra Ue e Paesi in via di sviluppo sul piano socio-sanitario. Fra le pagine non mancano taluni passaggi condivisibili, quando si afferma ad esempio che “le condizioni socioeconomiche e occupazionali delle donne e delle giovani coppie spesso ostacolano le scelte di maternità e paternità” oppure che “la mortalità materna continua a essere un fattore di preoccupazione in alcuni Stati membri”. La relazione rispedita al mittente contiene peraltro – oltre a un sottofondo di argomentazioni lontane dal concetto di promozione della vita umana – un capitolo denominato “Gravidanze non programmate e indesiderate: accesso alla contraccezione e a servizi per un aborto sicuro”, dove è facile intravvedere, attraverso l’interruzione della gravidanza, una volontà di innaturale “pianificazione familiare”. Si punta, inoltre, l’indice verso “la pratica dell’obiezione di coscienza” che avrebbe negato “a molte donne l’accesso ai servizi di salute riproduttiva”, compresa l’“interruzione legale della gravidanza”.
Prima ancora del braccio di ferro evidenziatosi in aula, che ha visto i deputati dei diversi Paesi e differenti gruppi politici dividersi trasversalmente, era giunto un autorevole commento dal Segretariato della Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece). “Non si crei confusione: l’aborto non è una materia di competenza dell’Unione”. E, facendo riferimento al Trattato Ue – il quale indica che gli Stati membri hanno competenza per tutto quel che riguarda le politiche sulla sanità -, la Comece sollecita l’Unione a “rispettare e non interferire nelle decisioni” che sono di competenza nazionale, tanto più che in alcuni Paesi comunitari l’aborto è illegale o sottoposto a condivise interpretazioni restrittive. La Comece deplora, inoltre, “il fatto che il rapporto votato oggi possa indurre in errore i cittadini europei” che in vista delle prossime elezioni dell’Eurocamera del maggio prossimo avrebbero bisogno di “essere rassicurati del fatto che l’Ue si atterrà alle proprie competenze”, evitando in primis di minacciare il diritto fondamentale alla vita.
Ma se all’indomani del rinvio si può parlare di “scampato pericolo”, restano questioni di lungo periodo che meritano attenzione. Se ne possono segnalare almeno due.
La prima è richiamata dalla stessa Comece, laddove si ricorda che vi sono campi di competenza dell’Ue e altri degli Stati membri, attorno ai quali non vi possono essere pericolose “invasioni di campo”. Si tratta, infatti, di rispettare i Trattati Ue, il principio di sussidiarietà e il motto dell’Unione europea, ovvero “Unità nella diversità”. La “casa comune” si può edificare se le differenze tra i Paesi aderenti vengono preservate e valorizzate, non certo se sono negate in nome di una unità coercitiva e irrispettosa.
La seconda questione è altrettanto dirimente. È convinzione diffusa che il Parlamento Ue sia lontano dal mostrare una maggioranza pro-life e se una relazione simile tornasse in emiciclo potrebbe ottenere la maggioranza dei consensi, come già accaduto. Eppure l’Europarlamento è eletto a suffragio universale dai cittadini europei: dunque dovremmo pensare che gli eurodeputati sono rappresentativi di un sentire diffuso che volta le spalle alla cultura della vita, alla promozione della famiglia, ai valori che fanno parte dell’eredità cristiana del continente? Si riapre, allora, al di là di sterili rivendicazioni, il vasto campo della testimonianza cristiana nello spazio pubblico europeo, che percorra, oggi come ieri (secondo l’esempio fornito dai “padri fondatori” come Schuman, Adenauer e De Gasperi), i sentieri dell’impegno culturale, sociale e politico. Le elezioni del Parlamento europeo sono ormai in vista: i credenti sapranno stare “in prima fila”, declinando i valori evangelici e gli insegnamenti della Chiesa nell’opera di costruzione europea?

                                                                             Gianni Borsa (Strasburgo)

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