Intervista doppia / Il suo diario rivela il vero Pasquale Pennisi di Santa Margherita

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Marcello Proietto e Ghiselda Pennisi

“Lo specchio delle mie giornate, diario (1939-1946). A cura di Ghiselda Pennisi e Marcello Proietto Belfiore. Il diario di Pasquale Pennisi di Santa Margherita, scritto tra il 1939 e il 1946, è lo specchio delle giornate di un uomo profondamente cattolico e fascista, nel quale si riflette la parabola percorsa dal regime dall’Italia durante la seconda Guerra mondiale. Con un costante intreccio tra considerazioni intime e riflessioni sulle vicende dell’Italia e del mondo sconvolte dal conflitto, in queste pagine si respira la storia drammatica di quegli anni, che attraversa i percorsi biografici, sconvolge i progetti e interroga in modo radicale le coscienze.

La fede in Dio, la fedeltà alla Patria, il legame viscerale con la propria famiglia e con la terra d’origine, la Sicilia, orientano una meditazione interiore segnata dalla faticosa e consapevole ricerca di una unità di vita, di una coerenza tra l’umano e il cristiano, tra la politica e la vocazione. Un documento significativo e originale per comprendere meglio l’itinerario del cattolicesimo fascista dalla vigilia della guerra all’Assemblea costituente, in un tempo cruciale per la vita politica ed ecclesiale del Paese. Con un saggio introduttivo di Renato Moro”. Marcello Proietto

In un’unica intervista abbiano sentito i due autori. Ecco quella a Marcello Proietto Belfiore.

La dinamica fascista/antifascista ha incorniciato l’intero dibattito pubblico italiano dal dopoguerra a oggi. Come si spiega la sopravvivenza di ideologie totalitarie?

Mi preme dichiarare innanzitutto che mi occupo di archivistica e biblioteconomia, non sono la persona più adatta a disquisire di fascismo e antifascismo dal punto di vista scientifico. Nonostante abbia sostenuto l’esame di Storia contemporanea all’Università, non ho la pretesa di equipararmi a studiosi di chiara fama. Proprio per questo motivo, io e Ghiselda Pennisi abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere per il lavoro che abbiamo realizzato Renato Moro, docente emerito di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, che potesse contestualizzare il delicato argomento.

Pasquale Pennisi di Santa Margherita, membro di una delle famiglie aristocratiche di Acireale, figlio di Giuseppe, più volte sindaco di Acireale e deputato, nipote di Antonino Paternò Castello di San Giuliano, politico dei più svariati incarichi politici nazionali e internazionali, era un uomo che credeva fermamente ai valori e all’ideologia fascista, come dimostrano le pagine del suo diario. L’attività di trascrizione del diario mi ha permesso di conoscere sempre più Pennisi, non solo come politico, ma soprattutto come uomo.

Credo che il diario abbia una doppia chiave di lettura. Da un lato permette di comprendere dalla penna di Pennisi le dinamiche del partito dal punto di vista dei seguaci. Dall’altro, la pubblicazione dovrebbe innescare nuovi dibattiti per la storia d’Italia, come afferma Moro nell’introduzione al testo.
Ancora oggi, nonostante la storia sia magistra vitae, in alcuni Stati assistiamo a radicati regimi totalitari. Probabilmente perché l’uomo è talmente distratto che dimentica facilmente la storia che l’ha preceduto. Questa riflessione mi richiama alla memoria la frase di Giambattista Vico, “corsi e ricorsi storici”, della quale odiavo sentirne parlare a scuola.
Col tempo, questa espressione l’ho rivalutata: ancora oggi ha la stessa valenza? Basta aprire il quotidiano e leggere le tante notizie di questi giorni.copertina Lo specchio delle mie giornate

L’idea di “religione politica” è specifica del fascismo oppure è una caratteristica comune a tutti i regimi dittatoriali?

L’espressione “religione politica” mi ricorda un’opera di Tommaso Campanella del 1638 in cui l’autore definiva come “religio politica” l’uso politico della religione nei rapporti tra Stato e Chiesa. Il prof. Moro, nel saggio introduttivo al volume, dichiara che il pensiero “centrale” di Pasquale Pennisi è “quello della intimità cattolica del Fascismo”. Le pagine del diario sono intrise di una commistione di ideologie politiche e di forte devozione cristiana ai precetti e alle forme di associazionismo cattolico come la Fuci, di cui Pennisi è un accanito sostenitore.
Pennisi incentra il suo pensiero su questa dicotomia di termini, in forte contrasto fin dall’antichità. Egli fa uso della religione per avvalorare l’ideologia politica che contrasta per natura e pensiero la stessa religione. Notiamo ancora oggi come i regimi dittatoriali sono sostenuti dalla religione. Essa ne esprime tutte le forme e i simboli, poiché d’altronde non può fare diversamente.

Esiste una grande produzione di scritti dedicati agli eroi partigiani della resistenza. Con quale intento si decide di pubblicare il diario di un uomo dichiaratamente fascista?

Anche per questa domanda cito le prime parole all’introduzione del prof.  Moro: “Raramente i diari di personalità che la storia, con le sue sentenze, ha duramente sconfitto sembrano destinati a suscitare interesse e a meritare di essere sottratti all’oblio. Eppure, in questo caso è proprio così”. In questa espressione il docente dichiara il motivo perché un diario di questo genere è stato pubblicato. Innanzitutto, si vuole dare chiarezza al periodo di riferimento, per una completa interpretazione dei fatti e degli avvenimenti che hanno costellato quegli anni. La figura di Pennisi ci aiuta a capire cosa accadeva dall’altra parte della staccionata, cosa effettivamente tramavano i signori del potere, quali le azioni e le incertezze.

Pennisi racconta del suo incontro durato pochi minuti con Mussolini nello studio di Palazzo Venezia. Ne parla entusiasta. Si prepara al grande evento che si consuma in pochissimo tempo. Nonostante questo, egli afferma che in quei minuti l’incontro è stato profondamente proficuo. Lo racconta alla moglie, Ghiselda Bois, e lo racconta ai suoi amici. Egli è figlio del suo tempo, e come tale, quando cadrà la dittatura, non risparmierà le pesanti critiche sul regime.Ghiselda Pennisi

Ed ecco l’intervista a Ghiselda Pennisi

In quale modo riesce a rimanere equidistante tra l’uomo/nonno e l’uomo/fascista?

C’è da chiarire innanzitutto che io non ho conosciuto personalmente mio nonno per motivi anagrafici. E, oltretutto, il nonno che io ho “conosciuto” era già lontano dalle convinzioni di quegli anni, per cui in realtà è meno difficile di quello che sembra. Come accennato nella mia breve nota a margine del libro, la trascrizione di questo diario proprio non è stata una cosa emotivamente semplice. I miei sentimenti e le emozioni sono stati contrastanti. La cosa che lo ha reso più complesso è il conciliare il fatto che mio nonno fosse sì fascista, come la stragrande maggioranza degli italiani. Ma non uno qualunque che lo aveva subito passivamente, ma un fascista convinto.

Non è facile prenderne consapevolezza, cresciuta come sono tra ideali di altro tipo. Ma è vero anche che mio nonno era l’uomo che ha cresciuto ed educato mio padre e i suoi fratelli che per me sono un esempio in tutto e per tutto. Ha insegnato loro dei valori che sono stati trasmessi a noi figli. Per cui, nonostante abbia fermamente appoggiato idee per me oggi assolutamente illeggibili e inaccettabili, qualcosa di buono doveva averla. Io credo che l’aspetto più interessante di mio nonno fosse l’essere fermamente cattolico cristiano e credente. Credo che questa fosse la sua vera essenza.

Suo nonno si è forgiato nella propaganda fascista, eppure aveva strumenti intellettuali che lo dotavano di coscienza critica. Perché un uomo di così fine intelletto abbraccia l’ideologia fascista?

Io conoscevo l’aspetto monarchico, credevo fosse rimasto fedele al re, date anche le sue origini, e credevo che, dopo la guerra fosse rimasto tale, invece no. Dalle pagine a cui affida i suoi pensieri, penso che avesse creduto di essere un rivoluzionario. Ma credo anche che, alla fine, abbia compreso che forse il fascismo non era la soluzione che gli veniva raccontata.

Questa domanda per me è difficilissima. E’ ciò che mi ha tormentata durante la trascrizione del diario. Io penso che mio nonno fosse figlio del suo tempo e del suo “palchetto d’onore”, dal quale ha guardato la guerra, che non gli ha consentito allora di capire fino in fondo cosa veramente stesse succedendo.  Penso che lui credesse fermamente nel valore della Patria, della Religione e della Famiglia e che questo lo abbia spinto a ritenere che il fascismo potesse incarnare tutto questo, ma i risultati della storia lo hanno messo davanti a dei fatti che lo hanno portato alla fine a prendere, anche se non pienamente, le distanze.

Il diario di suo nonno racconta la storia dalla prospettiva dei vinti. Crede che questo possa gettare una nuova luce sul concetto di fascismo?

In Italia c’è stata una sorta di rimozione, i conti con quel passato non li abbiamo mai fatti.
L’Italia è un paese costruito sulle ceneri del ventennio fascista con il quale non ha mai veramente fatto i conti. Oggi sembra che all’epoca fossero tutti partigiani, come nel ’94 nessuno aveva votato Berlusconi. Io spero che questo possa essere un modo per non nascondere la testa sotto la sabbia e cominciare a fare i conti con una realtà che va conosciuta e capita per potersene realmente distaccare con coscienza. Troppe persone, ancora oggi, parlano di fascismo senza sapere cosa fosse, cosa significasse. Persone che pensano al fascismo come un ideale e non come un reato, senza capire che, se il fascismo fosse ancora reale, non potrebbero nemmeno permettersi di parlare.

Lo scopo di questa pubblicazione è solo quello della conoscenza. Non ha intenti politici ma storici, perché da archeologa, quale sono, penso che la storia non sia solo quella dei vincitori ma un insieme di pezzi di vita che ci hanno portato ad essere quello che siamo, frutto delle scelte giuste e anche di quelle sbagliate. E la conoscenza è l’unica arma che abbiamo per poter scegliere con coscienza quello che vogliamo o non vogliamo essere.

Diceva Wineburg che il valore didattico e pedagogico della storia consiste nel fatto che “ci insegna un modo di fare le scelte, di controbilanciare le opinioni, di raccontare storie e di essere a disagio – quando è necessario – circa le storie che raccontiamo”.

Rita Vinciguerra

 

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