In questa notte magica noi bambini di molti anni fa vivevamo tra il timore, l’insonnia e la pregustazione dei doni che i nostri cari Morti ci avrebbero “lasciato” invisibili e silenti.
Fu il primo momento nel quale ci misuravamo con un termine – morte – che non capivamo. Ma che si trasformava in questo modo in consapevolezza di amore eterno di gioia e legame indissolubile che sarebbe culminato il due del mese nella visita a quel Cimitero nel quale percorrevamo con in mano il crisantemo, (in Oriente fiore simbolo di immortalità e di giovinezza) stradine e viali guidati dai nostri papà. Ed esso appariva come una sorta di libro di storie di vita e di radici invisibili.
Non mi soffermo sull’animato risveglio del mattino, alla ricerca in angoli e angoletti, di profumo di dolci, di “scherzetti “che avevano preparato i nostri genitori facendoci credere che non ci era stato lasciato nulla. Invece, che gioia! che meravigliosa vicinanza !
Quanta sorpresa genuina !
I Celti festeggiavano Halloween
ln quei giorni autunnali i Celti festeggiavano la notte durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi e la chiamavano Samhain. Il capodanno celtico che segnava la vigilia del mese di novembre come l’inizio dell’anno agricolo.
Nelle popolazioni indoeuropee era credenza diffusa la trasmigrazione delle anime quindi non si aveva paura della morte. Si aprivano le tombe e i morti si mescolavano ai vivi, allietati dall’intenso profumo floreale in omaggio ai defunti. Si può associare questa usanza a quella della notte di Halloween, nome che deriva dall’irlandese Hallow E’en che è la forma contratta di All Hallows’ Eve – ‘la vigilia di tutti i Santi’. Festa durante la quale i bambini si mascherano da scheletri o fantasmi mimando il ritorno dei trapassati sulla terra.
La confezione di dolci di pane a forma di teschio e di “ossa ‘e mortu”, poi, conferma il profondo significato sacro e spiritale degli scheletri. A simboleggiare che dai morti riceviamo nutrimento così come dai semi sotterrati rinasce la vita.
Non si può fare una elencazione – vastissima – della Tradizione universale dalla quale però già si può trarre a mio parere, la comune concezione della morte, riprodotta nei dolciumi e nelle usanze, del seme sotterrato che muore, dandoci la vita con la resurrezione della rinascita del Creato e dell’Uomo, la consolante certezza della Vita.
Godere appieno le gioie della vita ….finchè si è in vita!
L’idea che abbiamo della morte determina il nostro modo di vivere. La caducità della vita dovrebbe farci vivere appieno il presente e godere delle gioie che essa può offrirci. Come recita il messaggio “ eretico” di un testo egizio inciso sulla parete della tomba del re Antef, (1197 A.C.) accanto alla figura di un arpista, il Canto dell’arpista.
Nessuno viene di là, che ci dica la loro condizione..che tranquillizzi il nostro cuore, finché giungiamo anche noi a quel luogo dove essi sono andati.
Rallegra il tuo cuore: ti è salutare l’oblio.Segui il tuo cuore fintanto che vivi!
Metti mirra sul tuo capo, vestiti di lino fine, profumato di vere meraviglie che fan parte dell’offerta divina. Aumenta la tua felicità, che non languisca il tuo cuore. Segui il tuo cuore e la tua felicità, compi il tuo destino sulla terra.
Non affannare il tuo cuore, .. non ode la loro lamentazione colui che è morto: i loro pianti non salvano nessuno dalla tomba.
Pensaci, passa un giorno felice e non te ne stancare.
Vedi, non c’è chi porta con sé i propri beni, vedi, non torna chi se n’è andato.
Rosario Patanè