Gli Emirati Arabi Uniti sono un Paese in crescita per le importazioni di vino, con Dubai in testa. È quanto emerge dalla top ten dell’International Wine and Spirits Record (Iwsr), leader mondiale che analizza dati e consumi nel settore bevande alcoliche con sede a Londra.
Quel è il rapporto tra questo lussureggiante Paese e l’alcol, considerato dal Corano opera immonda? Il consumo di bevande alcoliche è consentito soprattutto ai turisti che abbiano compiuto diciotto anni, ventuno esclusivamente in determinate aree, come bar, hotel e ristoranti provvisti di apposita licenza. Un calice di vino costa poco più di venti dollari. È proibito il consumo per strada e in luoghi aperti e se si alza troppo il gomito si rischia una multa salata e la detenzione per chi guida sotto gli effetti dell’alcol.
Come sappiamo l’Islam vieta l’assunzione di bevande alcoliche. In realtà per i musulmani esiste la possibilità di bere ma solo dopo il rilascio di una licenza speciale da parte delle autorità che indica persino la quantità di alcol consentita da assumere. Gli Emirati Arabi Uniti sono, di fatto, uno dei Paesi più permissivi nel mondo arabo.
Negli Emirati Arabi Uniti il vino ha un mercato in espansione
Per la prima volta nella classifica dell’agenzia londinese rimane fuori la Cina che però nel frattempo è entrata a far parte dell’Organizzazione internazionale vino (Oiv), forte dei suoi quasi 800mila ettari vitati (la terza per estensione al mondo dopo Spagna e Francia).
Come si spiega tutto questo? Gli Emirati Arabi Uniti sono un piccolo mercato, dominato ancora da birre e spirit, di circa 10 milioni di abitanti con un consumo pro-capite di 32 litri annui a persona, in media con quelli internazionali. Ogni anno sono importati nel paese circa venti milioni di litri di vino.
Nella classifica dell’Iwsr si piazza al quinto posto, mentre restano fuori Paesi come Giappone e Cina. Al secondo posto il Canada, seguita da Svizzera e Norvegia. Tagliati fuori Paesi tradizionalmente legati al vino come Francia, Spagna, Germania e Italia. Si tratta di un cambio di rotta dovuto all’incremento delle attività turistiche e del canale on trade. Questo segmento di mercato si concentra spesso sull’esperienza del cliente, sul servizio e sul consumo immediato. Nel 2023 più di 17 milioni di turisti hanno visitato gli Emirati Arabi Uniti, il 90% la capitale Dubai, nota per le sue feste lussureggianti. I vini più richiesti, e quindi importati, sono quelli di pregio delle grandi maisons francesi, delle storiche e rinomate cantine italiane delle Langhe, Bolgheri e della Toscana.
Nuova tendenza: vini a zero o basso alcol
Nel focus sulla realtà e le previsioni del futuro s’insinua una sfida imminente: conquistare i mercati arabi con vini alcol free. È la stessa agenzia londinese a ipotizzare questo trend. Nell’ultimo rapporto si evidenziano tre tendenze per il 2025. Cioè l’inflazione con il costo della vita che sta salendo in tutta l’area asiatico-pacifica. Le tasse sui vini che probabilmente saliranno a causa delle instabilità geopolitiche. Infine, l’introduzione di nuove tendenze di consumo, come l’affermazione di bevande alcol free o alcol low.
Secondo l’Iwsr nel 2023 il mercato dei vini a zero o basso contenuto di alcol valeva 11 miliardi di dollari americani. Le previsioni sono che raddoppi entro il 2032, raggiungendo il valore di 24 miliardi di dollari.
A proposito: gli Stati Uniti restano al primo posto tra i mercati con maggiori attrattività e possibilità di crescita nel settore vitivinicolo, specialmente per la fascia dei vini premium.
E sempre gli Stati Uniti rimangono il primo mercato di riferimento per i vini dealcolizzati. Da un lato 334milioni di abitanti, dall’altro più di 2miliardi di musulmani. È solo questione di tempo, prima o poi i produttori convenzionali di vino verranno attratti dal potenziale di questo mercato perlopiù inesplorato.
Domenico Strano