Spesa / Quanto del nostro denaro va agli agricoltori?

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Quando andiamo a fare la spesa, il denaro che spendiamo va solo in piccola parte agli agricoltori: lo chiarisce Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, nel suo rapporto del 2024. Il documento è un invito a meditare sul prezzo degli alimenti che acquistiamo e come una fetta consistente del denaro impiegato non raggiunga i produttori agricoli. La considerazione più sintetica è che che quello che compriamo al supermercato meriterebbe un prezzo più elevato ma, d’altro canto, spesso non ci sarebbe possibile acquistarlo a costi più alti.

Spesa / Quanto del nostro denaro va agli agricoltori? Qual è il giusto prezzo per il cibo?

Il primo tema è: quale sarebbe il giusto prezzo per il cibo? Diverse analisi evidenziano come il costo della spesa che facciamo al market dovrebbe in realtà essere raddoppiato. Teoricamente, infatti, i soldi che impieghiamo nell’acquisto dovrebbero retribuire adeguatamente i lavoratori lungo tutte le varie fasce della filiera. Nel conto rientrano anche i finanziamenti ai trasporti, alla logistica e alla distribuzione. A tutto ciò andrebbero sommati anche i costi ambientali (danneggiamento del suolo, produzione di CO2, ecc). Questi elementi la maggior parte delle volte risultano nascosti ed esclusi dal computo, diventando un caro prezzo da pagare per la comunità.

Ma come effettivamente vengono distribuiti i nostri soldi all’interno della filiera? Il report dell’Ismea ci offre uno scenario abbastanza avvilente, in tal senso. I dati parlano di una sproporzione molto ampia. Su 100 euro di spesa al supermercato, solo 1,5 euro arrivano all’ambito agricolo (cifra che sale a 7 se si tratta di prodotti freschi). La fetta maggiore del nostro denaro raggiunge la parte logistica e la distribuzione. Quindi solo una minima parte del nostro contributo va ai lavoratori della terra, amplificando fenomeni come il caporalato. 

Spesa / Quanto del nostro denaro va agli agricoltori? Quanto possiamo realmente spendere?

Il secondo punto è: quanto denaro abbiamo la possibilità di impiegare realmente per l’acquisto della nostra spesa? Secondo l’ISTAT quasi 6 milioni di persone in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta. Come si legge dal rapporto sull’anno 2023: “Nel complesso, sono in povertà assoluta quasi 5,7 milioni di individui, pari al 9,7% del totale degli individui residenti, come nell’anno precedente. Nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 (+2,1% di occupati in un anno), registrato anche nei due anni precedenti, l’impatto dell’inflazione ha contrastato la possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta.

Nel 2023, la crescita dei prezzi al consumo è risultata, infatti, ancora elevata (+5,9% la variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), con effetti che, tra l’altro, risultano più marcati proprio sulle famiglie meno abbienti (+6,5% la variazione su base annua dei prezzi stimata per il primo quinto di famiglie; cfr. Glossario alla voce Quinti di famiglie). Le spese per consumi di questo gruppo di famiglie, che include anche quelle in povertà assoluta, non hanno tenuto il passo dell’inflazione e, pur in forte crescita in termini correnti, hanno subito un calo dell’1,5% in termini reali della spesa equivalente (su questo aspetto si veda la Statistica report “Le spese per i consumi delle famiglie” del 10 ottobre 2024). “

Anche persone comuni che non patiscono problematiche economiche di questa portata, tendono comunque a ricercare i prezzi stracciati, gli sconti e le offerte del giorno. Il motivo va rintracciato nell’immobilismo delle paghe italiane, statiche da una trentina d’anni. I punti vendita cercano di essere quindi concorrenziali, andando sempre più al ribasso con i costi, attirando l’afflusso di un maggior numero di consumatori. Questo abbassamento dei prezzi ricade però sulle fasce più basse della filiera, portando all’impoverimento dei lavoratori agricoli.

Spesa / Quanto del nostro denaro va agli agricoltori? Un paradosso

La situazione è quindi paradossale: il cibo costa troppo ma al contempo troppo poco. Nutrirsi è troppo costoso per i miliardi di persone in uno stato di povertà nel mondo. Al contempo lo è troppo poco in quanto, come detto sopra, la remunerazione agli agricoltori non è affatto adeguata. Per fronteggiare questa condizione e garantire delle filiere sostenibili bisognerebbe fare in modo che avvenga una redistribuzione di quei 100 euro suddetti all’interno della filiera, facendo sì che i salari di chi si occupa della produzione alimentare aumentino.

                                                                                       Maria Maddalena La Ferla