La grandiosità del barocco romano della chiesa di San Nicola da Tolentino riprende forza e vigore nella bianca facciata della chiesa di San Michele Arcangelo a Catania. La chiesa è nota anche col nome di Minoriti perché dei Chierici regolari minori. Fu eretta nella seconda metà del XVIII sec. dal regio architetto Francesco Battaglia, subentrato a Giovan Battista Vaccarini. I richiami al prospetto della più antica chiesa di San Nicola da Tolentino fanno di San Michele Arcangelo un importante riferimento al barocco della chiesa romana, superandola in grandiosità.
Entrambe le chiese hanno un prospetto diviso in due ordini, con una simile distribuzione nei colonnati. Nella chiesa di San Michele Arcangelo però, al primo ordine, al posto dei due nicchioni vi sono due grandi finestroni. Nel secondo ordine si ripetono le similitudini e i richiami soprattutto nel timpano ad arco spezzato. Il Battaglia però rese il parapetto traforato per renderlo più leggero ed elegante.
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Ai Minoriti, un bassorilievo sopra la porta d’ingresso rappresenta la Resurrezione di Gesù Cristo. Dei gruppi scultorei che ornavano la facciata, a parte il bassorilievo, è rimasta solo la statua mal ridotta del beato Bartolomeo Simorilli. La statua è avvolta da anni in una tela di nylon, con sotto una scritta commemorativa e la data 1778. Delle altre statue restano solo le scritte dedicatorie. E precisamente quella di San Francesco Caracciolo, fondatore dei chierici regolari, e quella di San Michele Arcangelo, rimossa nel 1955 e che a distanza di settant’anni è ancora nei progetti del recupero della facciata. Nell’arco timpanato si legge una scritta estratta dal “Te splendor et virtus Patris”, inno a San Michele di papa Urbano VIII:“… explicat victor crucem Michael salutis signifer “ e Anno DNI MDCCLXXV. (Spiega la croce il Vincitore, Michele, portabandiera della salvezza, nell’anno del signore, 1775).
Tre navate nella chiesa dei Minoriti
La chiesa di San Michele Arcangelo a differenza di San Nicola di Tolentino ha tre navate e non una sola. E inoltre sposta nel punto mediano della navata centrale, dove i pilastri acquistano spazio, la cupola, che è sormontata dalla lanterna, permettendo un irraggiamento luminoso più diffuso e omogeneo con un effetto simile ad una pioggia di luce, emula di quella romana del Pantheon. Nella chiesa romana di San Carlo ai Catinari la cupola occupa una posizione simile a quella dei Minoriti solo per un’ allungamento successivo del presbiterio e della parte absidale. Non c’è da meravigliarsi della stima che il Battaglia rivestì a suo tempo come architetto date le soluzioni innovative per il tempo.
All’ingresso, dopo una scalinata di marmo di tredici scalini a doppia rampa ad arco, la prima cosa che si nota è il trionfo dei marmi policromi siciliani. Dal bigio di Billiemi al giallo di Castronovo, al diaspro di Custonaci ed altri preziosi marmi e pietre locali.
Sono però le stupende fonti per l’acqua lustrale con angioloni, addossate ai primi pilastri, a essere di immediato impatto visivo. E ci riportano subito alla memoria questa pietra, conosciuta come diaspro o libeccio antico di Sicilia, ancora estratta dalle viscere della nostra terra per realizzazioni raffinatissime. Pietra che il Bernini usò per la tomba di Alessandro VII a San Pietro a Roma.
La stessa pietra fu usata per l’ acquasantiera superstite della chiesa di San Nicolò l’Arena, dove lavorò anche il Battaglia. Cosa che potrebbe suggerire che queste sculture siano opere sue.
Diversi altari all’interno della chiesa
Proseguendo nella visita troveremo tre altari per lato, come nella già citata chiesa romana di San Nicola da Tolentino. Nella navata destra, entrando, si trova l’altare di S. Agata dove è collocata una tela di Marcello Leopardi, rappresentante la liberazione della Patria. Accanto si trova una rappresentazione di Santa Lucia, cui segue l’ altare dedicato a San Francesco Caracciolo, con grande tela del Leopardi ultimata dal suo allievo Vincenzo Ferreri.
Dedicato all’Annunziata, sempre nella navata destra è altro altare con una pregevole opera di Guglielmo Borremans. Diametralmente opposto a questo, sull’altra navata, si trova l’altare del SS. Crocifisso, in un unico pezzo di marmo bianco di Carrara, opera di Agostino Penna.
Degli altri due altari, uno è dedicato a San Michele Arcangelo e l’altro a San Giuseppe con un’opera di Marcello Leopardi che rappresenta il transito del Santo. Accanto all’altare di San Giuseppe trova spazio il sepolcro di Giovanni Battista Paternò, che lasciò alla chiesa una cospicua fortuna.
Nella chiesa dei Minoriti un pregiato organo dell’800 dei fratelli Serassi
Ai lati dell’altare della navata centrale si trovano due alti pergami portici e dietro un coro con ventidue stalli. Mentre sopra si erge la cantoria riccamente dorata su cui è un grandioso organo con cassa neogotica. Questo organo dei bergamaschi fratelli Serassi è del 1858 e oggi avrebbe bisogno di essere riparato da mani altamente competenti.
I Serassi sono fra gli organi più apprezzati. A Ragusa si trovano diversi Serassi, in particolare uno nella chiesa di San Giorgio a Ibla, chiamato Organum Maximum, che è stato oggetto di un recente restauro straordinario effettuato con fondi del Comune e della chiesa. Mentre l’associazione culturale Giuseppe Serassi, che cura un Festival che si svolge in diverse città d’Italia, ha curato una monografia sullo stesso.
Ragusa, grazie alla cura che ha dei suoi organi, realizza un Festival di musica barocca che si articola in sei serate. E’ un peccato che anche Catania non abbia la stessa dedizione verso i suoi tesori. Il barocco dei Minoriti non è figlio di un Dio minore.
Giuseppe Di Vita