Etna / Fra pastorizia e caprette in fuga

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caprette Etna esemplare

Nel contesto dell’Etna in cui la pastorizia è tutt’oggi ancora presente – seppur in misura nettamente inferiore rispetto al passato – delle capre, scappate dai rispettivi pastori, hanno creato delle “mini greggi” autonome e indipendenti dall’uomo, vivendo per anni lungo le pendici del vulcano.

Le storie di animali scappati da zoo, ambienti domestici o in generale dal controllo umano che si ritrovano a vivere autonomamente e in libertà, adattandosi anche a contesti geografici e ambientali molto diversi da quelli originari, sono innumerevoli. Si pensi, ad esempio, ai lama che scappati nel 2016 da uno zoo nei pressi del Chianti hanno vissuto per anni nei boschi della Toscana. O anche i nandù (degli uccelli sudamericani simili a struzzi) che si stanno riproducendo molto velocemente in Germania dopo essere fuggiti da una fattoria tedesca. 

Etna / Fra pastorizia e caprette in fuga: racconti e avvistamenti

Un fenomeno “sovversivo” simile ai suddetti si è verificato anche nel territorio etneo. Delle capre, probabilmente provenienti da diverse greggi, si sono raggruppate nel corso degli anni sfuggendo al controllo dei pastori e vivendo insieme in modo selvaggio e autodeterminato. I primi avvistamenti di questi esemplari inselvatichiti risalgono già ad una ventina d’anni fa, all’interno della Valle del Bove e nelle aree adiacenti. 

Ci sono delle testimonianze che narrano di un gregge di una quindicina di caprette che fino al 2021 dormiva nei pressi di Monte Pomiciaro. Pian piano gli animali hanno iniziato a salire in quota, verso Monte Zoccolaro. Poi, probabilmente, sono migrate anche da lì per via delle frane iniziate nel 2023 che hanno coinvolto le pareti rocciose dell’area. 

Chiaramente non è una vita esente da rischi e nel tempo la “comunità caprina” ha contato delle perdite. Si parla della scomparsa repentina di un caprone come anche di due cuccioli, partoriti proprio ai piedi del Pomiciaro, in circostanze non molto chiare (forse uccisi da carnivori o portati via da qualcuno con l’intento di appropriarsene). Altre narrazioni fanno riferimento ad un tragico incidente avvenuto all’interno di una grotta, rifugio per le caprette durante un temporale: i fulmini hanno colpito alcune di loro, causandone la morte.  

Etna / Fra pastorizia e caprette in fuga: falliti i tentativi di riappropriazione 

Nel corso degli anni non sono certamente mancati i pastori che hanno rivendicato la proprietà delle capre. Ma ogni tentativo di riacciuffarle, anche con l’aiuto dei cani, è stato vano. La loro tendenza a inerpicarsi in luoghi inaccessibili le rende molto abili nella fuga. “Saltano come stambecchi, è impossibile recuperarle. Già quando arrivi a 50 metri di distanza sentono il tuo odore e si arrampicano lungo quelle pareti rocciose inarrivabili” spiega Alfio Sciuto, classe ‘87. Non è lui uno degli -ormai ex- proprietari delle capre, ma è un profondo amante della montagna, della quale conosce approfonditamente i sentieri e le loro storie. Possiede un piccolo gregge -così definito da lui stesso- di un centinaio di pecore, ed è uno dei pochi pastori che tutt’oggi porta gli animali al pascolo sull’Etna e addirittura l’unico che pratica ancora la pastorizia nella zona di Zafferana.  

Anche a me è capitato di non trovare le pecore per alcuni giorni. Una volta 7 di loro erano andate in un punto opposto rispetto a dove vanno di solito. Se non fossero state ritrovate oppure non fossero state attaccate dai cani, sarebbero potute restare lì”. Un interrogativo che sovviene immediatamente è come possano sopravvivere degli animali per periodi così lunghi senza bere. Il contesto naturale etneo non offre grandi fonti idriche. “Le mie pecore, anche se mancano da giorni, appena rientrano all’ovile non vanno a bere.” spiega il sig. Sciuto, e prosegue “Perchè ci sono dei tipi di piante che non seccano mai! Per esempio quella che fa quei fiori rossi.. in siciliano si chiama “sapunara”. Ci sono anche quelle basse e rotonde, dette “cituli”. Nutrendosi di queste specie credo che riescano ad abbeverarsi, senza contare che quando piove vi sono punti in cui l’acqua si raccoglie”.

Etna / Fra pastorizia e caprette in fuga: il mondo pastorale nella società odierna

Il mutamento delle condizioni economiche, sociali e ambientali ha portato ad una riduzione del numero di pastori e delle greggi. Alfio Sciuto, proveniente da una famiglia che si è occupata di attività agropastorali per generazioni, spiega come effettivamente i tempi siano cambiati. I pochi che portano avanti questa attività, lo fanno in maniera differente rispetto al passato. La transumanza, ad esempio, oggi implica per lo più brevi tragitti e per molti pastori non è più immersiva come in precedenza: “Un tempo si stava 24H con gli animali, no stop. Ormai non restiamo più la notte con gli animali, ci sono tante esigenze e non si può fare. Anche se c’è ancora qualcuno che rimane”. I pagliari, strutture caratteristiche edificate come rifugio notturno per i pastori – ma anche per i produttori di carbone – sono infatti ormai in disuso. 

A fronte delle trasformazioni dell’era odierna, nascono però delle iniziative che sembrano riscuotere anche un buon successo, come la Scuola Giovani Pastori. Questo progetto supporta i ragazzi che vogliono avviare un’attività imprenditoriale nell’ambito della pastorizia e ha visto, fra le altre cose, la partecipazione di molte donne. L’indagine “Giovani Dentro” svolta in collaborazione con il Crea sulla fascia d’età 18-39 anni rileva come il 94% del campione veda almeno un motivo valido per lanciarsi nel campo agropastorale. 

Etna / Fra pastorizia e caprette in fuga: oronimi “caprini”

A diversi elementi del paesaggio etneo sono stati attribuiti oronimi che testimoniano una folta presenza storica di capre e attività pastorali sul territorio. Pensiamo, ad esempio, ai rilievi di Monte Capre e Monte Capreria, rispettivamente sul versante Ovest e Sud dell’Etna. Ma anche a Rocca Capra, dalle pareti così ripide da essere praticabili solo da caprini, per l’appunto, che si erge all’interno della Valle del Bove – e chissà che anche quest’ultima non verrà chiamata un giorno “Valle della Capra”, dato che l’ormai antico transito di buoi ha ceduto il passo agli spostamenti di queste altre docili creature-.

                                                                                            Maria Maddalena La Ferla