Il progetto di accoglienza migranti nei centri in Albania, voluto dal governo italiano e fortemente sostenuto dalla premier Giorgia Meloni, sembra essere giunto a un punto di rottura, evidenziando il fallimento del piano politica migratoria. Nati con l’intento di alleggerire la pressione sul sistema di accoglienza in Italia, i due centri situati a Shengjin e Gjader sono rimasti quasi del tutto vuoti dopo ripetute bocciature da parte della giustizia, con i giudici di primo grado e le Corti d’appello che hanno dichiarato illegittimi i trattenimenti dei migranti. Ora, la cooperativa Medihospes, incaricata della gestione, ha annunciato licenziamenti massicci, quasi azzerando il personale impiegato nelle strutture.
Secondo quanto riportato dal quotidiano Domani, il fallimento del piano appare ormai evidente. I lavoratori della cooperativa Medihospes hanno ricevuto una comunicazione ufficiale che informa della sospensione temporanea dei servizi a causa di “pronunce giudiziarie contraddittorie” e dell’impossibilità di accogliere nuovi migranti. La causa principale sarebbe legata all’assenza di flussi migratori che giustifichino il funzionamento dei centri, unitamente alla mancata conformità alle normative italiane e europee. Questo blocco dei servizi mette in luce le difficoltà che il governo italiano sta affrontando per attuare una strategia che garantisca il controllo dell’immigrazione senza violare diritti fondamentali.
Politica / Il fallimento del piano: proposta di trasformazione in Cpr
In risposta al fallimento della gestione, il governo sta valutando di trasformare i centri albanesi in Cpr, ovvero in strutture per il rimpatrio. L’idea prevede l’utilizzo degli impianti di Shengjin e Gjader per trattenere i migranti irregolari già presenti in Italia, contro i quali è stato emesso un decreto di espulsione. Fonti governative riferiscono che la proposta è emersa in un incontro tra la premier Meloni, il ministro Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, e potrebbe portare a un nuovo decreto che cambi la destinazione dei centri.
Questa proposta ha suscitato perplessità. Se da un lato si cerca una soluzione per utilizzare le strutture, dall’altro emergono dubbi legali. Il passaggio da centri di accoglienza a centri di detenzione per migranti già espulsi solleva questioni giuridiche, soprattutto riguardo al diritto di ricorso contro l’espulsione. Inoltre, l’idea di sottrarre il giudizio delle autorità italiane sulla situazione dei migranti rappresenta un rischio significativo.
Politica / Il fallimento del piano e divergenze politiche
La situazione ha suscitato anche forti reazioni politiche. Mentre il governo continua a sostenere la validità del progetto, alcuni esponenti della maggioranza si mostrano cauti. Il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti (FdI), ha infatti confermato che il governo sta valutando l’adozione di nuove misure prima della sentenza della Corte di giustizia europea, ma ha anche sottolineato la necessità di agire con prudenza. Le divergenze all’interno della stessa coalizione evidenziano la complessità della questione migratoria e l’incertezza legale che la circonda.
Nel frattempo, l’opposizione è ferma nel criticare la gestione del piano. Davide Faraone di Italia Viva ha sollevato perplessità sul fatto che i centri in Albania non siano mai stati pensati per essere una soluzione strutturale, ma come deterrente alle partenze. Secondo Faraone, l’intento originario di rendere la struttura albanese una misura di dissuasione contro l’immigrazione non ha funzionato, e ora il governo sta cercando a tutti i costi di “riempire” i centri, mascherando un fallimento con dichiarazioni di successo. Simona Bonafè del Partito Democratico ha definito il modello albanese un fallimento evidente, sottolineando come l’ipotesi di un nuovo decreto dimostri l’incapacità di funzionare del piano, indipendentemente dalle decisioni dei giudici.
Politica / Il fallimento del piano: difficile sostenibilità del modello albanese
Uno degli aspetti più problematici del progetto è l’elevato costo delle strutture in Albania, che si somma a quello di una gestione incerta e inefficace. La domanda che più di tutti si pongono i critici è: perché investire in queste strutture all’estero, quando in Italia esistono già i Cpr? Se l’intento iniziale era quello di arginare i flussi migratori e fare fronte all’emergenza, la proposta di trasformare i centri in luoghi di detenzione sembra essere un tentativo tardivo di salvare un progetto che finora non ha prodotto i risultati sperati.
L’incertezza giuridica e il rischio di violazione dei diritti fondamentali dei migranti, uniti all’inefficacia della gestione politica, rendono difficile pensare a una soluzione stabile. Più che una strategia di lungo termine, il piano sembra essere un rimedio temporaneo a una problematica che continua a sfuggire al controllo del governo italiano. Se le problematiche legate alla giustizia e alla gestione dei flussi migratori non verranno risolte, il modello albanese rischia di restare un fallimento, senza la possibilità di offrire risposte concrete alle sfide migratorie.
Arianna Carbonaro