Calcio violento a Riposto – 2 / Abbiamo perso tutti

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stadio Torre Archirafi

“Abbiamo perso tutti”. A pochi giorni dal disdicevole assalto al giovane arbitro al campo sportivo di Riposto, assurto a notorietà nazionale, quando si auspica che i moti intemperanti dell’animo si siano definitivamente placati, l’amara chiosa del dirigente regionale di Lega Nazionale Dilettanti, Sandro Morgana, sembra aver posto il suggello finale a questa vicenda incresciosa. Se non per i profili legali, essendo in corso le indagini per accertarne le responsabilità individuali, almeno per il senso comune.

Abbiamo perso tutti. Affermazione che con lapidaria laconicità induce tutti a chiedersi come, quando e perchè si sia perso. E a quali livelli si estenda una responsabilità più ampia; e poi se esista ancora un buon senso comune. Poiché a essere onesti, il retaggio più inquietante che ci lascia la vicenda è il dubbio ormai ineludibile, se sussista ancora un lessico condiviso, di rispetto della persona, unanimemente accettato e coniugato.

Le implicazioni dell’ennesimo episodio violento non possono infatti relegarsi ai meri ambiti legali. Se si è salutata con soddisfazione la presentazione di un disegno di legge per riconoscere all’arbitro lo status di pubblico ufficiale, la maggiore deterrenza che deriverebbe dall’inasprimento delle pene può sì concorrere a ridimensionare una fenomenologia ormai troppo diffusa, ma non certo sradicarla.stadio Torre Archirafi

Calcio violento: tutti responsabili di correità

Oltre alla legittima indignazione s’impone così una chiamata di correità, poichè la sconfitta è di tutti.
Abbiamo perso come genitori, quando abbiamo scordato che lo sport è mezzo di crescita equilibrata e integrazione sociale e resta, soprattutto a quell’età, un gioco. Come tale va fatto vivere ai nostri figli.

Abbiamo perso come allenatori, quando abbiamo anteposto al piacere del gesto sportivo, il risultato a qualunque costo. Sottacendo che l’accettazione dell’errore umano di atleti o arbitri fa parte del gioco.

Anche come dirigenti sportivi abbiamo perso, quando abbiamo rinnegato lo spirito ricreativo per una attività condotta secondo stilemi aziendali volti al conseguimento di un utile, nella scoperta di astri nascenti.

Cocetto LObello, mitico arbitro internazionale

Abbiamo perso come dirigenti arbitrali, quando non abbiamo garantito maggiore supporto ai giovani arbitri, troppo esposti a rischio. E non abbiamo preteso la credibilità dagli arbitri delle serie maggiori.

Calcio violento: è mancata l’educazione alla corretteza e alla responsabilità

Abbiamo perso come docenti, quando abbiamo confuso bontà con buonismo e non educato gli alunni al senso della correttezza e della responsabilità. Per cui senza giustizia non c’è inclusione ma lassismo.

Abbiamo perso come educatori, giornalisti, intellettuali o presunti tali, quando non abbiamo saputo testimoniare che nello sport, come nella vita, la sconfitta non è un dramma, ma premessa del successo.

Roberto Mancini con la Coppa d’Europa vinta dalla Nazionale

Abbiamo perso come cittadini e credenti, quando non abbiamo difeso e supportato gli oratori, luoghi che per decenni hanno forgiato intere generazioni (vedi nostro articolo del 2 febbraio), da cui sono usciti fior di campioni non solo di sport ma di vita; figure esemplari di riferimento come Riva, Scirea, Mancini e altri. Per essi il tifo era parte di un più ricco e prezioso bagaglio di valori a cui restare fedeli.  Per tutti tali profili credo che ognuno, per i vari ruoli, chi più, chi meno, debba recitare il mea culpa.

Calcio violento: mancano rispetto e tolleranza

Queste considerazioni, purtroppo incontrovertibili, convergono in un leitmotiv latente ma immanente.
Lo sfaldamento di quei caratteri di rispetto e di tolleranza su cui dovrebbe fondarsi una società matura. C’è un ordine naturale delle cose che, se ancora forse non da tutti contestato, da molti di certo obliato.

Per quanto esso sia impresso in ognuno per Legge Naturale, in ragione della sacralità della vita umana. Sembra quasi che l’uomo voglia pervicacemente misconoscere la propria identità, fino a rigettarla. Infatti, se già non si nutre il rispetto per la propria persona, come si può coltivare quello per gli altri?

Da qui lo scadimento dei rapporti umani e lo smarrimento della dignità altissima che l’Altissimo ci ha geneticamente donato e che noi, giorno dopo giorno, stiamo colpevolmente d i l a p i d a n d o!

Se la vicenda è sintomatica dell’eclissi della ragione ci lascia però pure un tangibile segno di speranza. Che sta nel palese sconcerto di quei ragazzi presenti sul campo di gioco, che si sono dissociati e con gli adulti hanno cercato di sedare la rissa. Da questa scelta edificante dobbiamo quindi tutti ripartire.
Ritornando al principio innato per cui se l’altro è un fratello, non è altro da me; e come tale va trattato.
Se è vero che abbiamo perso tutti, badiamo di non perdere quel poco di senso comune ancora vincente.

                                                                                                                                    Giuseppe Longo