Tra Ottocento e Novecento ad Acireale si annoverano pittori come Saru Spina, Giuseppe Sciuti e Francesco Mancini (Acireale, 22 ottobre 1863 – Acireale, 3 dicembre 1948), il protagonista della nostra intervista.
Bentrovato, maestro Francesco Mancini. Su di voi il senatore Agostino Pennisi di Floristella, già presidente dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, nel 1960, in occasione di una retrospettiva su di voi nei locali dell’Accademia, traccia un profilo della vostra vita artistica, delineando le caratteristiche salienti del vostro stile. Prima di parlare della vostra arte, ci parlate della vostra famiglia?
Sono nato ad Acireale da Giuseppe e Sara Ardizzone. I miei genitori erano delle persone modeste, che si dedicavano al lavoro e alla famiglia. Mio padre era un orafo, mia madre casalinga. Ero affascinato dal lavoro di papà: era un artista, un artefice dosatore di metalli preziosi nella realizzazione di oggetti preziosi.
Intraprendete la strada lavorativa spianata dal padre o vi indirizzate su altro?
La Società dei commercianti e artisti aveva fondato una scuola serale per i figli degli artigiani. Mio padre si era formato in questa scuola. Dopo pochi anni l’istituzione passa all’amministrazione giuridica della Società di Mutuo Soccorso Agostino Pennisi.
Anch’io ho frequentato la stessa scuola di mio padre e mi son fatto notare subito dai docenti per la mia spiccata versatilità nel disegno. Mio padre e i miei insegnanti, quando hanno notato che sapevo utilizzare in modo eccellente la tempera, l’acquerello, il pastello e l’olio, mi hanno fatto capire che la mia strada non doveva esaurirsi nella bottega di orafo, bensì dovevo intraprendere gli studi presso un’Accademia di belle arti, la scuola più adatta alle mie doti. La mia famiglia non poteva sostenere le spese, allora la Scuola serale è intervenuta a mio favore proponendo il mio nome all’Amministrazione comunale affinché potessi ricevere una borsa di studio di avviamento per frequentare l’Accademia di belle arti di Napoli.
Socio effettivo dell’Accademia di Acireale, subito dopo la vostra morte il Comune si adopera per ricordare il vostro nome intitolandovi una via. Molte delle vostre opere si conservano nella Pinacoteca di Acireale. Avete avuto i giusti riconoscimenti dalla vostra città e l’allora presidente dell’Accademia, Agostino Pennisi di Floristella, elogia la vostra figura soprattutto perché egli è stato un vostro discepolo.
Ricordo che quando ho realizzato i ritratti dei genitori di Agostino, lui era un bambino che ammirava con occhi curiosi le setole del pennello sulla tela. Divenuto mio discepolo, mi segue tra Acicastello e Acitrezza in cerca di stupende inquadrature. Piantavamo i cavalletti e si dipingeva il paesaggio che si presentava davanti ai nostri occhi. Prediligevamo i cieli velati, nuvolosi, le tinte morbide, i campi incolti, il mare.
Famosi sono i vostri autoritratti.
Ne ho eseguiti due, uno nel 1908 e l’altro nel 1948. La tecnica è diversa, come diverso, ovviamente, sono io a distanza di 40 anni. Se nella prima opera la pennellata è morbida e le tinte sono forti, nella seconda si nota una mia evoluzione nella chiarezza del dettaglio.
Come scrive ancora Agostino Pennisi di Floristella, prediligete ritrarre i paesaggi, in seno alla corrente del periodo, il Realismo.
Nei paesaggi ritratti a fine Ottocento mi piace soffermarmi su dettagli. Sono particolarmente meticoloso, preciso nel disegno, come se stessi eseguendo una miniatura. Anteprima (si apre in una nuova scheda)Mi soffermo a ritrarre i vecchi tronchi di ulivo, i rami contorti, squamosi, le rocce brune o patinate da un lichene giallo-oro. E poi ritraggo certe vedute con la montagna protagonista indiscussa e maestosa, la nostra Etna, che si scaglia impetuosa sul Mar Jonio.
Francesco Mancini, parlateci delle opere murarie realizzate nelle chiese di Acireale.
Tra il 1895 e il 1899 affresco il tamburo della cupola della Cattedrale di Acireale con quattro scene dell’Antico Testamento. Tra il 1899 e il 1901 mi sposto nella vicina Basilica di San Sebastiano per decorare la cupola con l’episodio di Gesù risorge dall’avello e all’estremità del transetto, La sepoltura di San Sebastiano da una parte, e La salita di Gesù al Calvario dall’altra.
Marcello Proietto