Intervista / Don Fortunato Di Noto: “Meter, una risposta che va a chinarsi sul dolore altrui”

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Don Di Noto

Promuovere un percorso di consapevolezza e guarigione rispetto agli abusi sui minorenni, che rappresentano tra le ferite più profonde del nostro tempo. Sull’argomento si è riflettuto a Giarre, in occasione della presentazione del volume “Sopravvissuti agli abusi. Ferite invisibili in guarigione”, ultima pubblicazione di don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’associazione Meter e responsabile dello sportello regionale per la tutela dei minorenni e delle persone vulnerabili, della Conferenza episcopale siciliana.

L’incontro, promosso dall’Ufficio diocesano IRC, dal Servizio diocesano tutela minorenni e persone vulnerabili e dal Centro culturale di Giarre ODV, è stato introdotto da Barbara Condorelli, direttore del Coordinamento regionale IRC. Moderatrice l’assistente sociale Maria Pia Fontana, direttrice dell’Udepe di Catania.

presentazione libro di don Di Noto
La presentazione del libro di don Fortunato

Prima dell’incontro, abbiamo conversato con don Fortunato Di Noto sui temi della povertà educativa che affligge le giovani generazioni.

Don Fortunato, quali modelli educativi sono possibili in questa nostra società così complessa?

La nostra società è davvero complessa, al punto che il Santo Padre nel 2019 ha affermato, per quanto riguarda l’aspetto educativo, che siamo davanti a una “catastrofe educativa”. Già anche Benedetto XVI parlava di un’emergenza educativa. I modelli sono quelli che in un certo qual senso ci hanno accompagnato. Magari ovviamente modificati in questa società tecnologica che ormai influisce tantissimo nell’aspetto di una prospettiva nuova.  Educazione significa tirare fuori le cose che la persona ha già dentro automaticamente. E noi dobbiamo avere educatori che siano capaci di tirar fuori dai nostri bambini le cose belle che hanno dentro.

A proposito di educatori, vi è la tendenza, da parte delle istituzioni – e non solo – ad attribuire alla scuola alcune funzioni che spetterebbero primariamente alla famiglia: educazione all’affettività, alla legalità, alla sessualità, alla convivenza civile… tanto per fare alcuni esempi. Certo, anche la scuola ha un ruolo educativo, ma affiancando la famiglia, il cui modello educativo è fondamentale e non surrogabile.

Assolutamente. Anzi, io personalmente sulla scuola così come è strutturata avrei riserve, pur comprendendone la grandezza e la valenza. La scuola deve educare e formare buoni cittadini, però la famiglia è fondamentale. Zygmunt Bauman, grande sociologo morto di recente, diceva che la felicità o l’infelicità la trovi in famiglia.

Quindi dipende molto dalla famiglia, da come si struttura, quali sono i valori basilari necessari, fondamentali, quale tipo di eredità – materiale, mafiosa, spirituale, culturale – che vuol trasmettere ai ragazzi e ai bambini, quale sia il valore necessario di una vita bella e non di una vita brutta. Certamente la famiglia è il luogo principale, il nucleo di protezione e di sicurezza, ove i protagonisti della missione educativa sono sempre papà e mamma.Don Fortunato Di Noto

Non sempre, purtroppo, le famiglie sono all’altezza del compito. Sono sempre più permissive, a volte lassiste. Si percepisce perciò anche un’emergenza genitoriale.

È fondamentale saper dire “sì” e saper dire “no”. E poi è doverosa quella unità educativa che a volte viene a mancare quando il papà dice una cosa e la mamma il contrario. Questa discrepanza di orientamento educativo non contribuisce a costruire la bellezza di un figlio.

Protezione e sicurezza, diceva prima; aggiungerei anche legalità. Se ne discute tanto, ma come si fa a parlarne ai minorenni, per molti dei quali il modello educativo è rappresentato dalla strada?

La strada può diventare anche un modello formativo. Lasciarla come strada non illuminata, senza fari, senza lampadine e senza persone non propone alcun modello, la si percorre al buio, rischiando di inciampare.

Efficace questa sua metafora. Eppure il percorso è molto variegato, per molti c’è buio anche sotto il Sole, non si percepisce la strada come un luogo di incontro, di solidarietà, di valori…

È vero. Perché in fondo la strada è quella che ha percorso Gesù. Egli era un uomo di strada, però un uomo che lungo la via si fermava con le persone che incontrava. A volte la strada può diventare un luogo in cui vi sono la solitudine, l’abbandono, l’isolamento, l’incapacità di sapersi incontrare. Tra la folla non si percepiscono l’individualità, la singolarità della persona, che sono elementi fondamentali per una società in cui si cresce insieme, perché ogni individuo fa parte dell’altro. Quindi la strada è il luogo dove si può riconoscere anche il bene, più che il male propinato dai tempi.

Faccio l’esempio di un povero che in strada è capace di condividere con qualcun altro quel poco che ha, perché capisce che cos’è la strada e capisce che cos’è la marginalità. Le strade possono diventare veramente luoghi molto belli se noi le sapessimo percorrere; non dico asfaltate, possono essere anche strade impolverate, ma sono polveri di cammino e polveri irrorate di esperienza.Pubblico

Un accenno al ruolo di Meter, da trentacinque anni sul crinale della lotta alla pedopornografia e agli abusi sui minorenni, ferite da cui si può guarire, se le vittime sono accompagnate attraverso un percorso di ascolto.

Credo che sia stato un dono di Dio, che l’ha posta nella società. È nata senza volerlo, non l’abbiamo costruita a tavolino È stata un dono che nasce nell’avere visto la sofferenza dei bambini e la sofferenza causata dagli abusi della pedopornografia on-line e della pedofilia. Papa Francesco, in una delle occasioni in cui mi ha ricevuto, ha detto che “l’abuso è un omicidio psicologico”. Meter vuol essere una risposta concreta non soltanto di idee o di ideologia. È una risposta che va a chinarsi sul dolore altrui, attraverso il centro di ascolto e il centro polifunzionale formativo.

Don Fortunato Di Noto, il suo ultimo libro propone appunto le testimonianze di chi ha trovato persone capaci di ascoltare…

Sì, perché – come è stato scritto nella presentazione – le testimonianze dei sopravvissuti all’abuso ci fanno comprendere che riconoscere il dolore dell’altro può favorire il percorso verso la resurrezione e la guarigione. E noi siamo chiamati a riconoscere il bene che ancora esiste e a non aver paura della violenza, ma piuttosto a portare la gioia cristiana nel mondo, certi dell’abbraccio di Gesù e della sua Chiesa.»

Paolo Amato