Le lettere del presidente della Repubblica e dei vescovi campani rilanciano l’attenzione su quella parte della Campania che è stata ferita dall’inquinamento ambientale a causa dei rifiuti tossici. Dal capo dello Stato l’assicurazione che non si abbasserà la guardia. Dai presuli la richiesta di interventi efficaci. La gratitudine di don Maurizio Patriciello che ha guidato il risveglio popolare.
“Sono felicissimo perché c’è l’attenzione da parte di tutti su questo problema”. Così don
Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, commenta al Sir le due lettere del presidente della Repubblica e dei vescovi campani sulla Terra dei fuochi. La prima Giorgio Napolitano l’ha indirizzata proprio a don Patriciello; la seconda, l’hanno resa nota oggi il cardinale Crescenzio Sepe e i vescovi delle diocesi della Terra dei fuochi, facendo loro l’appello del capo dello Stato a “non abbassare la guardia e fare presto”.
Necessari nuovi passi. “I nostri vescovi – sottolinea don Patriciello – intervengono per la seconda volta, nel giro di un anno, sul problema: vuol dire che la Chiesa campana è molto attenta a questo dramma che ci sta sconvolgendo la vita”. La lettera che gli ha indirizzato Napolitano, poi, gli ha fatto “molto piacere” e ora il parroco sta aspettando un invito a breve per un incontro. Per la risoluzione del problema della Terra dei fuochi un altro tassello importante è stato il decreto adottato ai primi di dicembre dal Consiglio dei ministri, anche se sono necessarie delle modifiche. “Abbiamo accolto con riconoscenza il decreto – spiega il parroco -, ma è ancora poca cosa: che diventi reato appiccare il fuoco in campagna è una cosa ottima, visto che fino a poco tempo fa c’era solo una piccola multa da pagare. Ora ci dobbiamo chiedere: chi è che va a bruciare, cosa gli è stato dato e da chi? Di solito, chi brucia sono i rom o i disoccupati, l’ultima ruota del carro. Quindi, bisogna raggiungere chi tiene in mano le fila di questo affare. In campagna si bruciano i rifiuti industriali: dobbiamo capire per quale motivo”. Don Patriciello analizza a fondo la questione: “Quando si tratta di rifiuti campani, sono prodotti in regime di evasione fiscale. Tante fabbrichette di pellami lavorano in nero e gli scarti vengono perciò smaltiti irregolarmente. Andando ad arrestare chi brucia, allora, facciamo una cosa buona, ma non abbiamo risolto il problema”. Il parroco chiede qualcosa in più: “È necessario abbassare le tasse per permettere a queste fabbriche di rimanere sul mercato e lavorare non al nero”.
Salvaguardare le terre e la salute. “Adesso – prosegue don Patriciello – i contadini nelle nostre zone stanno con l’acqua alla gola. È necessario riportare la Campania all’eccellenza che aveva. Come dice Napolitano, non tutta la campagna è avvelenata. In questo senso, abbiamo il diritto e l’urgenza di sapere quali sono le zone inquinate, in cui non coltivare prodotti alimentari, e dare il marchio di qualità per i terreni buoni. Così si eviteranno tanti sciacallaggi che si stanno facendo contro i nostri prodotti”. Infine, “c’è il problema sanitario, perché lo scempio ambientale si traduce in un dramma umanitario. C’è collegamento tra ambiente e salute. Qui, in Campania, non c’è un registro sui tumori, ma non ci si può nascondere dietro il ‘non possiamo dire’. Noi non siamo scienziati, ma viviamo sul territorio, perciò possiamo denunciare il sintomo, ma sono le istituzioni che devono dirci cosa sta avvenendo sulla nostra terra”.
Il grido delle madri. Nella sua lettera a don Patriciello, Giorgio Napolitano ha ricordato “il grido accorato delle madri dei bambini colpiti da gravi patologie tumorali ricondotte al criminale inquinamento dei vostri territori della Campania”. Attraverso il parroco di Caivano, il presidente della Repubblica vuol far arrivare alle famiglie interessate la sua “intima partecipazione al loro dolore, confidando che non abbandonino la fiducia nell’impegno delle istituzioni, reso più coeso e credibile anche grazie alla partecipazione attiva della rete di comitati e singoli cittadini che non si contentano di denunciare i crimini subiti, ma sostengono con le loro iniziative le operazioni di monitoraggio e di bonifica dei siti”. “Malgrado l’impegno dispiegato dallo Stato – ammette il capo dello Stato con don Patriciello -, sono d’accordo con lei che la questione richiede ancora energie e attenzione. Sebbene il territorio colpito e danneggiato sia circoscritto, e non esteso all’intera Campania, la serietà del fenomeno non può permettere di abbassare la guardia”.
Fate presto. “Fate presto, sentiamo il dovere di dire a quanti hanno ruolo, responsabilità e autorità di intervenire e decidere per frenare il dilagare di timore, di paura e di mali”, scrivono il cardinale Crescenzio Sepe e i vescovi delle diocesi della Terra dei fuochi, in una lettera resa nota oggi. “Ancora una volta – proseguono – esprimiamo preoccupazione e dolore per il dramma che stanno vivendo tante famiglie e tante comunità di quella parte del territorio campano, tristemente definita come ‘Terra dei fuochi’”. forte è “il grido di rabbia e di sofferenza che viene da tante mamme e tante persone della nostra amata terra, per i danni, anche luttuosi e irreparabili, subiti o temuti ed anche per l’attesa di atti chiari, concreti e rassicuranti rispetto al presente e al futuro”. “Il disastro ambientale che denunciammo circa un anno fa si è trasformato in un vero dramma umanitario, anche per il tasso di patologie tumorali che, secondo alcuni, è più alto che in altre parti d’Italia”, evidenziano il card. Sepe e i vescovi delle diocesi della “Terra dei fuochi”. “Durante questi lunghi mesi, responsabile e costante è stata l’attenzione e l’apprensione espresse dall’Episcopato e dalla Chiesa della Campania, spiritualmente e umanamente vicine a chi è stato colpito negli affetti più cari, ma anche discretamente accanto ai tanti che si sono fatti testimoni del meraviglioso risveglio delle coscienze e di un ammirevole senso civico”, concludono.
Gigliola Alfaro