Il ricordo del piccolo Cocò: “Sicuro è con Gesù in cielo”.
La Pace è come il vento, soffia forte, potendo raggiungere tutti, in particolare chi ne ha più bisogno. Due ragazzi dell’Azione cattolica, Sara e Matteo, sono alla finestra con Papa Francesco in questa terza domenica del tempo ordinario. Com’è tradizione gennaio è il mese dedicato alla riflessione e all’impegno per la pace dei ragazzi dell’associazione; e il volo delle due colombe, dalla finestra dalla quale il Papa si è rivolto per la preghiera mariana dell’Angelus, simboleggia l’impegno di pace dei ragazzi e dell’Azione cattolica.
Impegno oggi quanto mai urgente viste le difficili, anzi drammatiche, immagini di violenza e di conflitto che giungono da diverse parti del mondo: a cominciare dall’Ucraina, per la quale Francesco auspica un dialogo costruttivo fra istituzioni e società civile, evitando il ricorso ad azioni violente “nella ricerca della pace e del bene comune”. Ma anche l’Egitto, il Medio Oriente, la Siria: tutti paesi dove le speranze di cambiamento sono naufragate di fronte alle violenze e all’incapacità di dare ascolto alla voce dei popoli.
C’è poi una immagine ancora che il Papa non può dimenticare: la macchina bruciata a Cassano allo Jonio con dentro il piccolo Cocò Campolongo, tre anni. “Questo accanimento su un bambino così piccolo sembra non avere precedenti nella storia della criminalità” afferma Francesco all’Angelus. “Preghiamo con Cocò, che sicuro è con Gesù in cielo, per le persone che hanno fatto questo reato, perché si pentano e si convertano al Signore”.
Parole, impegni che si legano bene con le letture di questa domenica, con la missione che Gesù è chiamato a compiere, e cioè di andare incontro all’uomo nella realtà, nei luoghi in cui vive e opera, per aiutarlo a uscire e accettare il messaggio nuovo del Vangelo. Sappiamo che Gerusalemme non è l’inizio del suo cammino, ma la conclusione; i primi passi li muove a Nazareth, e in Galilea, “terra di frontiera” ricorda Francesco, una regione dove forte era la presenza di diverse popolazioni straniere. Terra di frontiera, dunque, “dove si incontrano persone diverse per razza, cultura e religione. Luogo simbolo, la Galilea, dice Francesco, “per l’apertura del Vangelo a tutti i popoli”.
È interessante notare che nel suo andare in Galilea, Gesù interpreta e continua a modo suo la missione di Giovanni che lo aveva battezzato al Giordano e che ora, leggiamo, è imprigionato: non è più nel deserto, non è più solo, ma Gesù sceglie “il mare di Galilea”, potremmo dire, con le parole di Francesco, sceglie una “periferia dell’esistenza”. Sceglie un luogo abitato per dirci: la necessità dell’incontro: “possiamo spaventarci e cedere alla tentazione di costruire recinti per essere più sicuri, più protetti”. Ma Gesù ci insegna, afferma Francesco, che la “Buona novella, che lui porta, non è riservata a una parte dell’umanità, è da comunicare a tutti. È un lieto annuncio destinato a quanti lo aspettano, ma anche a quanti forse non attendono più nulla e non hanno nemmeno la forza di cercare e di chiedere”.
Ecco allora le sofferenze di una parte dell’umanità, le attese di pace, il messaggio della non violenza: “nessuno è escluso dalla salvezza di Dio”, anzi, “Dio preferisce partire dalla periferia, dagli ultimi, per raggiungere tutti. Ci insegna un metodo, il suo metodo, che però esprime il contenuto, cioè la misericordia del Padre”. Dobbiamo uscire dalle nostre comodità e avere il coraggio di accettare la chiamata a essere strumenti di pace e di riconciliazione; di raggiungere “tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. Non sceglie i dotti, non si rivolge alle scuole dei dottori della legge, ricorda Francesco; i primi discepoli di Gesù sono persone semplici. Li va a chiamare “là dove lavorano, sulla riva del lago: sono pescatori. Li chiama, ed essi lo seguono, subito. Lasciano le reti e vanno con lui: la loro vita diventerà un’avventura straordinaria e affascinante”. Nasce così uno stile nuovo fatto di disponibilità, vicinanza, sollecitudine.
Fabio Zavattaro