Elezione del Presidente della CEI / Il Vescovo di Acireale mons. Antonino Raspanti sulla terna: “Scelta la via della collegialità”

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La Conferenza Episcopale Italiana, durante la 66° Assemblea Generale del 19-22 maggio, ha raggiunto quello che, per ragioni storiche, potremmo definire un “compromesso”: sarà vescovo-raspantiuna terna di nomi votati dalla Cei a decretare il nuovo Presidente, naturalmente nominato dal Papa.  Alla richiesta di Papa Francesco ai Vescovi di trovare vie più “autonome”, i pastori hanno risposto con la via della “collegialità”. Tuttavia, il dibattito è stato percepito genericamente dall’opinione pubblica che ne ha colto soprattutto le formalità della scelta a discapito invece delle motivazioni più profonde, anche di natura teologica. Il cardinale Angelo Bagnasco, attuale presidente della Cei, ha sottolineato che quella della terna è “una scelta assolutamente coerente con la via della partecipazione”. In questa prospettiva – così come si legge dal documento finale della 66° Assemblea Generale – i Vescovi hanno discusso e deliberato l’approvazione della modifica (ora sottoposta al parere della Santa Sede) dell’art.26 dello Statuto Cei, stabilendo la composizione della terna (la stessa, tra l’altro, viene utilizzata per le elezioni dei Presidenti di molte associazioni religiose). Abbiamo chiesto al nostro Vescovo mons. Antonino Raspanti di aiutarci a comprendere meglio tutto l’iter che ha portato alla scelta finale.

Eccellenza Reverendissima, non tutti hanno ben compreso le motivazioni profonde che hanno guidato l’Assemblea verso la scelta della terna.  Ci racconti come si è arrivati a questa importante scelta.

Anzitutto desidero dire che il Pontefice sia l’anno scorso che quest’anno, quando è tornato a parlare a noi Vescovi d’Italia, non ha detto “voi dovete” o “io preferisco che voi vi eleggiate da soli il presidente”. Ha detto: “in tutte le conferenze episcopali del mondo i vescovi si eleggono il presidente; qui da voi non è così.” Il Pontefice ci ha invitati ad evidenziare la collegialità. Questo modo di fare in Italia, oggi, favorisce la collegialità, o la ostruisce? Poi ha aggiunto: “comprendo bene che per voi in Italia è diverso per il legame che si ha con la cattedra di Pietro, però voi decidete autonomamente qualunque vostra scelta. Per me sarà buona.” Questo ha fatto sì che noi vescovi aprissimo un lungo dibattito durato un anno, svoltisi anche nelle Conferenze episcopali regionali fino all’ultima Assemblea della Cei di maggio scorso, dove si è discusso ampiamente quale strada scegliere. Io credo sia stata trovata una via mediana: perché, da una parte lasciando la nomina al Papa, si rispetta il fatto che egli è il primate d’Italia – in Italia la Chiesa apostolica è una, e questo vuol dire che la chiesa fondata dagli apostoli in Italia è Roma, dove tra l’altro sono morti Pietro e Paolo, quindi Roma è la chiesa madre delle chiese italiane. Per questo motivo si è lasciato sempre il primato d’Italia al Papa – si è continuato quindi a lasciargli questa prerogativa, però dall’altra parte, accogliendo e accettando a manifestare meglio la collegialità, esprimiamo anche noi un voto. Solitamente si fa in maniera elettorale; tra le tante possibilità che c’erano, si è scelta quella di portare tre nomi, a maggioranza assoluta. Dunque, questo non vuol dire votare i primi tre, ma significa votare una serie di volte affinché i tre nomi raggiungano la maggioranza. In questo modo il Papa avrà un quadro abbastanza chiaro per capire qual è l’orientamento dell’Assemblea dei vescovi. E fare dopo, con cognizione di causa, la nomina. Quindi, la scelta da un parte accoglie meglio il senso della collegialità dall’altro lato rispetta il ruolo teologico che ha la Chiesa di Roma e il Vescovo di Roma rispetto a tutte le chiese d’Italia. Un risultato che è stato votato a stragrande maggioranza. Adesso noi abbiamo fatto l’emendamento ma è sempre il Papa che dovrà approvare lo Statuto. 

Il prefetto della Congregazione per i Vescovi, Cardinale Marc Ouellet, ha affermato che “non si convoca un’assemblea solo per prendere decisioni organizzative e politiche, ma per prendere sempre più coscienza di quello che siamo”. La soluzione della terna, allora, sarà uno strumento che aiuterà i Vescovi a sperimentare sempre più la fraternità e la conoscenza reciproca?

Direi anche la corresponsabilità. Perché se dobbiamo noi pronunciarci pubblicamente su chi vorremmo che guida, significa che i problemi della Chiesa Italiana li dobbiamo guardare in faccia noi Vescovi d’Italia. Quello che Papa Francesco ci sta invitando a fare è che l’Episcopato Italiano si assume maggiori responsabilità circa la Chiesa italiana. Essendo leggermente più autonoma rispetto – diciamo – alla curia pontificia, quest’ultima è per tutto il mondo. Il Santo Padre vorrebbe che noi Vescovi decidessimo di più per le cose d’Italia. Ora, indicare fortemente un presidente significa indicare un pensiero e non farselo indicare da altro. Quando noi eleggiamo tre nomi, si tratta di vescovi di lungo tempo, che hanno detto il loro pensiero, che si sono esposti. Quindi questo significa più assunzioni di responsabilità per la Chiesa d’Italia.

Quali sono le scadenze e i tempi in attesa che il Papa approvi definitivamente lo Statuto?

Non li sappiamo. Certo è che la Santa Sede si prenderà il tempo opportuno. Una volta che la Santa Sede approva gli Statuti allora gli emendamenti verranno promulgati. E poi entrano in vigore. Non credo che passerà  moltissimo tempo, può darsi anche che nel corso 2014 il processo arrivi alla fine.  Altro discorso è, una volta entrato in vigore, si aspetterà la scadenza naturale dell’attuale presidente, oppure entrando in vigore subito l’attuale presidente decade, e dunque bisognerà subito procedere? Vedremo quale delle due vie sarà privilegiata.

Quali sono le sensazioni che voi Vescovi avete provato incontrando e ascoltando Papa Francesco?Assemblea maggio CEI

Abbiamo percepito noi Vescovi d’Italia un Santo Padre che non essendo europeo porta davvero un modo di pensare e di vedere la vita della Chiesa abbastanza nuovo, rispetto al continente americano che è tutt’altra cosa rispetto a noi. Si percepisce che il Santo Padre ha una freschezza, una novità, e abbiamo percepito una grande vicinanza, voglia di parlare e stare con noi, e di questo ne siamo naturalmente tutti molto contenti.

Domenico Strano

 

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