Siamo invitati dalla Chiesa italiana a guardare al nuovo umanesimo instaurato dalla venuta del Figlio di Dio nella carne umana. Non c’è migliore occasione della festa di Natale, per riflettere sulla nostra umanità! I testi della Liturgia ogni giorno c’invitano a destarci dal torpore e dal sonno, a vigilare e a preparare la via al Signore che viene, ad appianare la strada nella steppa. A partire dal nostro cuore, non mancano né steppe né abissi e, a guardare intorno, nemmeno rovi, spine e serpenti velenosi. Chi ci salverà dal pericolo d’inciampare e cadere? Perché e per chi viene il Signore? Viene per portare consolazione al suo popolo. Il suo popolo siamo noi, uomini e donne di questo secolo, di questa terra. Egli viene, anzi è già venuto, nato da donna, piccolo e indifeso, lasciandosi nutrire, curare e educare da un cuore di mamma. E’ cresciuto, come ciascuno di noi, circondato da attenzioni, gesti di tenerezza e di perdono, in una normale famiglia umana.
Il Battista, che aveva conosciuto i Profeti e poteva gridare a gran voce l’invito alla conversione, lo riconobbe come il Messia atteso: “Questi è il Figlio mio, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!”, e ne ebbe conferma dalla voce che si udì dal cielo .
Ora tocca a noi ascoltare quella voce per annunziare la salvezza. Noi abbiamo ricevuto, in modo del tutto gratuito, quanto Gesù di Nazareth ha operato, alla stessa stregua degli Apostoli. Ce lo insegna la Chiesa, fedele custode dell’opera redentrice del nostro Salvatore. La nostra testimonianza di vita, oltre che di annuncio verbale, permette ad altri di “godere” di questa possibilità di dare senso pieno alla vita e della Salvezza donataci.
Ma per trasmetterla dobbiamo sapere cosa Gesù è venuto a fare in questo mondo. Forse consideriamo la sua avventura terrena come una favola o Gesù, un uomo straordinario; non ci convince la sua divinità; non siamo sicuri della promessa della vita eterna e ci accontentiamo di “ricordare” un evento del passato, come una memoria illustre, ma non tale di “incidere” sulla nostra esistenza. E non ci “convertiamo” secondo il suo stile, il suo modello di vita.
Egli infatti, ci dice di cambiare il nostro cuore, di cercare la volontà di Dio, che ci vuole figli, di avere sentimenti di fratellanza verso tutti gli uomini. Essere figli di Dio! Quale dono più grande potevamo ricevere? La vita è già un dono inestimabile, avere dei genitori che si prendono cura di noi, è una grande ricchezza, che non tutti hanno. Essere figli di Dio, nessuno ce lo poteva concedere se non Dio stesso! Egli lo ha voluto e l’ha messo in atto.“Dio ha tanto amato il mondo, ci dice l’evangelista Giovanni, da mandare il suo unico figlio perché noi avessimo la vita per lui”, e “ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio”. Se questa notizia non ci fa vibrare le corde del cuore e non ci fa inebriare di gioia, cos’altro ci può rendere felici? Forse perché Dio si è manifestato a noi nella debolezza della carne e non ha distrutto le forze che ci ostacolano, non ci soddisfa? L’averci dato la libertà di scegliere e decidere i nostri gesti secondo i desideri del nostro cuore non è un’ulteriore prova di stima, di rispetto, di fiducia? Ci pesa quel che ci chiede? Certo, non è facile avere gesti ci tenerezza verso chi ci aggredisce, né perdonare chi non si accorge di ferire la nostra sensibilità, non giudicare di fronte alle violenze e forme di sopraffazione che si compiono da parte di alcuni sui più deboli ed indifesi! Ma, ai seguaci di Cristo, è stato offerto un Modello di vita, non un’idea astratta, un Maestro, che ha fatto esperienza di attenzione e cura di quanti, nella società del suo tempo, erano malati nella carne e nella condotta di vita (usurai, prostitute, ladri, esattori …), attirandoli a sé e guidandoli verso la verità di se stessi, trasformando la loro vita degna di partecipare al suo regno. “Oggi sarai con me in paradiso”, dice al ladrone pentito, inchiodato accanto a Lui nella croce. E, morendo, chiede al Padre di perdonare coloro che lo avevano messo a morte, scusandoli: “Perdona loro, Padre, perché non sanno quel che fanno”.
A noi, oggi, è chiesto di avere cura e attenzione nei riguardi di ogni uomo e non permettere che alcuno sia privo di ciò che è necessario alla sua vita (cibo, vestito, alimenti, salute, istruzione, lavoro, casa, ). E, soprattutto, nessuno sia privo di amore e di speranza di futuro. Di questi il perdono vicendevole é la prima garanzia. Chi di noi può dire di non aver bisogno di perdono?
Teresa Scaravilli