I tagli alla sanità hanno messo in ginocchio il Centro di educazione motoria della capitale. Maria Cidoni, portavoce dell’associazione dei genitori, denuncia l’emergenza e il rischio di ospedalizzazione della struttura: “I nostri ragazzi non sono malati, ma disabili. Non hanno bisogno di cure mediche, ma di assistenza”. I rischi che corrono i più indifesi, come “Pippi”, sulla carrozzina da trent’anni.
“In questi giorni di festa è stato un disastro. Non si è potuta organizzare neanche la Messa di Natale, da tutti noi tanto attesa”. È uno degli ultimi post sulla pagina Facebook di Maria Cidoni, 75 anni, madre di Barbara, “cerebrolesa da forcipe”, e portavoce dell’associazione genitori del Centro di educazione motoria (Cem) di Roma. Si tratta di un complesso di strutture – centro di eccellenza per decenni – patrimonio della Croce rossa italiana, oggi vittima dei tagli di bilancio, che accoglie 45 ospiti con grave disabilità in regime assistenziale residenziale in modalità di “mantenimento” e 16 in regime assistenziale semi-residenziale. “I nostri ragazzi – scrivono in una nota tutti i genitori – sono vittime di un’economia che li fa scomparire”.
Inizialmente, è stato sottoscritto un protocollo con la regione Lazio che prevedeva la presa in carico del servizio e dell’assorbimento dei lavoratori nella Asl Rm D. Successivamente i ministeri vigilanti hanno bocciato il protocollo gettando i ragazzi, le loro famiglie, i lavoratori e il servizio, nello sconforto e nello smarrimento. Si è sottoscritto, allora, un nuovo affidamento da parte della Regione al Comitato provinciale della Croce rossa italiana che ha ottenuto, di recente, due anni di proroga della privatizzazione prevista a gennaio 2015.
Resta l’incognita sui servizi ai cittadini. Il Cem ha già licenziato 25 persone e ai lavoratori è stato proposto un contratto precario. Più che lecito, allora, l’interrogativo sollevato da Maria Cidoni: “Come si può pensare di sostituire gli operatori del Centro con lavoratori interinali; operatori di esperienza ventennale che si sono conquistati nel tempo la fiducia e l’affetto dei ragazzi con degli interinali che nemmeno conoscono il Centro?”. Impensabile, infatti: “I ragazzi non hanno più l’assistenza di prima e questo si comincia a vedere nella cura dell’igiene personale e nell’aspetto fisico”.
A rischio sono i più indifesi come “Pippi”, definita dai medici un “miracolo vivente”, sulla carrozzina da più di trent’anni. Non parla, ma sa comunicare – eccome! – e con il suo sorriso, quando ascolta la musica che le piace o riceve delle carezze, sembra cantare un inno alla vita. Se però chi le sta accanto non ha esperienza, non ha tempo o non gode della sua fiducia, può rifiutarsi non solo di mangiare, ma anche di bere. Ed è quanto spesso accade in quest’ultimo periodo al Centro di educazione motoria di via Ramazzini. “Si tratta di una vera e propria situazione di emergenza”, insiste Cidoni.
I genitori temono l’ospedalizzazione della struttura che ne tradirebbe l’originaria identità di Centro di assistenza e di sostegno, non di internamento. “I nostri ragazzi non sono malati, ma disabili – chiarisce la portavoce dell’associazione genitori del Cem – non hanno bisogno di cure mediche, ma di assistenza”. Alcuni di loro non hanno nemmeno una famiglia, ma sono stati “adottati”, a suo tempo, dalla Croce rossa. Con l’accreditamento, invece, “l’Asl non fornisce neanche più gli asciugamani puliti e noi ci stiamo organizzando per supplire a queste mancanze a nostre spese”.
Maria ha 75 anni, è allo stremo delle forze e, come molti altri genitori, si pone la difficile questione del “dopo di noi”. In pochi alzano la voce, ma la loro è eco del silenzio dei genitori che preferiscono non parlare per timore di ritorsioni e dei loro figli che voce non ne hanno.
Domitia Caramazza