Fondamentalismo e violenza / Dalle Repubbliche ex sovietiche migliaia di combattenti per lo Stato islamico

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Combattenti dello Stato islamico

Secondo l’International Crisis Group sarebbero spinti dall’emarginazione politica, dalle prospettive economiche in cui versa l’intera regione post-sovietica e da un’alternativa esistenziale radicale, che consente un'”esperienza di combattimento” accompagnata a una vita religiosa fondamentalista. Il reclutamento nelle moschee e nelle sale di preghiera.

Le cinque Repubbliche ex-sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, stanno diventando terreno di coltura per l’arruolamento nello Stato Islamico. Lo denuncia un rapporto dell’International Crisis Group, che sottolinea come le misure adottate siano inefficaci per affrontare il fenomeno.


Tra i 2mila e i 4mila combattenti o sostenitori. 
L’International Crisis Group – un’organizzazione no-profit non governativa indipendente, impegnata a prevenire e risolvere i conflitti – in un suo rapporto rileva che un crescente numero di cittadini dell’Asia centrale, regione prevalentemente islamica, maschi e femmine, si arruolano in Medio Oriente (Iraq e Siria) per combattere o comunque sostenere lo Stato islamico. Sarebbero tra i 2mila e i 4mila. Secondo l’Icg sono spinti dall’emarginazione politica, dalle prospettive economiche in cui versa l’intera regione post-sovietica e da una alternativa esistenziale radicale, che consente una “esperienza di combattimento” accompagnata ad una vita religiosa fondamentalista.

Combattenti dello Stato islamico
Combattenti dello Stato islamico


Malgoverno, corruzione, criminalità e autoritarismo. 
L’immenso territorio costituito dalle cinque Repubbliche ex-sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, divenute indipendenti nel 1991, collegato strettamente all’Iran, all’Afghanistan, alla Cina e alla Russia – che nel passato ha avuto a lungo un posto importante nel mondo musulmano, in particolare grazie a centri come Samarcanda e Bukhara – vive oggi una situazione di profonda crisi. Determinata da molteplici fattori: il conflitto ucraino, l’instabilità afgano-pachistana, il jihadismo proveniente dal Caucaso settentrionale, il malgoverno, la corruzione e la criminalità. Un fatto nuovo degli ultimi tempi è la politica che la Cina ha varato nei confronti della regione, individuata come Nuova Via della Seta, che vede i Paesi dell’Asia centrale come percorso necessario per raggiungere i mercati occidentali. Per questo, la Cina ha stanziato investimenti che sono già serviti a costruire la rete di gasdotti Asia centrale-Cina e a costruire progetti infrastrutturali, a partire dalle ferrovie.

I “reclutamenti” nelle moschee e nelle sale di preghiera. In questo contesto, generatore d’instabilità politica e sociale, avvengono i “reclutamenti” alla causa dello Stato islamico, che secondo l’Icg si svolgono nelle moschee e nelle sale di preghiera in tutta la regione. Giocano un ruolo fondamentale Internet e i social media e la radicalizzazione delle donne è spesso una risposta alla mancanza di opportunità sociali, religiose, economiche e politiche ad esse offerte. Molti dei reclutati forniscono servizi di supporto per i combattenti più esperti provenienti dal Caucaso o dagli Stati arabi. Il problema è molto acuto nel Kirghizistan meridionale, dove i rischi sono amplificati dalla situazione della comunità uzbeka. Particolarmente esposto alla minaccia terroristica è l’Uzbekistan, terra d’origine del temibile Movimento islamico, legato ad al Qaeda, perché la gran parte dei combattenti Isis provenienti dall’Asia centrale sono uzbeki. Sembra siano circa 2.500 persone.

Provvedimenti inefficaci. “Oggi è più facile per l’Isis reclutare in Asia centrale che in Afghanistan o in Pakistan”, ha dichiarato Deirdre Tynan, responsabile per la regione dell’Icg, per il quale solo la distanza ha impedito che, in questi Paesi, si potessero sviluppare dinamiche d’instabilità come quelle che si vedono in Medio Oriente. Per affrontare il fenomeno, i Paesi interessati hanno assunto provvedimenti, che però non si sono dimostrati adatti. Il Kazakistan e il Tagikistan (rispettivamente il Paese più ricco e più povero della regione) hanno reso reato il fatto di combattere all’estero, ma nulla è stato fatto per intercettare i “foreign fighters” pronti a partire. “I servizi di sicurezza dell’Asia centrale utilizzano queste minacce a fini politici e per restringere le libertà personali”, si legge nel rapporto.

Umberto Sirio

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