Referendum / Gli slovacchi si esprimono su unioni, adozioni e libertà di educazione: il quorum non c’è ma la famiglia resta

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Gli slovacchi erano chiamati a esprimersi sulla tutela della famiglia come unione tra un uomo e una donna, sul divieto delle adozioni per le coppie omosessuali e sulla “libertà di educazione”. Alle urne solo il 21,4% degli aventi diritto. L’Alleanza per la famiglia: “Abbiamo potuto risvegliare l’interesse della gente e avviare un serio dibattito pubblico”. Il grazie dei vescovi a chi ha votato

La speranza è che la famiglia sia ora messa al centro di tutte le politiche nazionali”: Anton Chromik è uno dei volti più conosciuti dell’Alleanza per la famiglia (Aff) che nei mesi scorsi si è battuta per indire in Slovacchia il referendum di sabato 7 febbraio. I cittadini erano chiamati a esprimersi sulla tutela della famiglia come unione tra un uomo e -una donna, sul divieto delle adozioni per le coppie omosessuali e sulla “libertà di educazione”, ovvero assegnare ai genitori la scelta sulla partecipazione dei figli a lezioni scolastiche sul “comportamento sessuale” o sull’eutanasia. Ma il referendum non ha raggiunto il quorum del 50% dei partecipanti, come previsto dalla normativa slovacca. Alle urne si è recato solamente il 21,4% degli aventi diritto: ossia 944mila elettori su oltre 4 milioni. Fra questi, più del 90% ha espresso il proprio “sì” ai tre quesiti sostenuti dall’Aff.

Il rischio del mancato quorum era stato messo nel conto dai promotori referendari, che infatti ritenevano già un successo l’indizione del voto: “Grazie alla campagna – secondo Chromik – abbiamo potuto risvegliare l’interesse della gente su questo argomento e avviare un serio dibattito pubblico” sul valore della famiglia tradizionale. Ora, aggiunge, si tratta di proseguire l’impegno sul piano culturale e politico.

Appena giunto l’esito delle urne, i vescovi hanno rilasciato una dichiarazione con la quale ringraziano i cittadini che hanno espresso il proprio voto, per poi riflettere a voce alta: “Il fatto che la partecipazione al referendum non abbia raggiunto il quorum del 50% rappresenta senza dubbio un elemento di analisi e profonda riflessione”. Segue un incoraggiamento al Paese: “Crediamo che prendersi cura delle famiglie sia un tema importante per la vita pubblica e per il futuro della società”.

Sull’altro versante i detrattori del voto esultano, sottolineando il fallimento del “referendum omofobo”, ritenuto sin dall’inizio “inutile” e foriero di polarizzazioni politiche.

Il brusco risveglio all’indomani del mancato quorum, e con una partecipazione ritenuta modesta, apre diverse linee di riflessione che la vasta e radicata comunità cattolica slovacca intende rilanciare con lo stesso coraggioso ottimismo con cui è attiva in ambito pastorale, catechetico, caritativo. Si fa anche tesoro dell’incoraggiamento giunto nei giorni precedenti al voto da Papa Francesco, volto a “proseguire nell’impegno in difesa della famiglia, cellula vitale della società”. L’atteggiamento che sta emergendo è quello di proseguire il cammino: si riscontra infatti la necessità di un ulteriore sforzo educativo all’interno della realtà ecclesiale e di una rafforzata testimonianza sul piano civile del valore positivo e della bellezza della vita familiare, dei legami affettivi, del ruolo genitoriale. Un compito ampio e diffuso, motivato e competente, che non può prescindere da un rinnovato protagonismo laicale.

L’esperienza slovacca chiama pure in causa una valutazione di scala continentale. L’intento del voto del 7 febbraio era soprattutto quello di riposizionare la famiglia al centro della vita sociale, in un’epoca di individualismo crescente, di confusione valoriale e di insistenti pressioni culturali e giuridiche in senso anti-familiare. Le preoccupazioni slovacche sono diffuse in tutta Europa, anche se diversamente percepite e foriere di mobilitazioni di vario calibro. Il movimento “Manif pour tous” in Francia è spesso sulle prime pagine dei giornali; Slovenia e Croazia si sono misurate con iter legislativi e referendari come quello di Bratislava; in Spagna, Italia, Irlanda, Germania, Malta, Belgio, Polonia – per fare alcuni nomi – la tutela e promozione della vita e della famiglia è all’ordine del giorno. L’azione europea “One of us” (Uno di noi) per la protezione dell’embrione sta cercando di riorganizzarsi dopo il no della Commissione Ue a una iniziativa legislativa in tal senso. Ci sono realtà nazionali dove la voce delle Chiese riesce – vincendo timidezze e superando sterili posizioni difensive – a risuonare con maggior vigore; casi in cui è proprio il laicato organizzato ad essere protagonista di una testimonianza forte e credibile dei valori positivi che emergono dal Vangelo e che possono risultare universalmente condivisibili se vissuti in prima persona e trasmessi con coerenza e convinzione.

Dopo il voto slovacco, si riparte da qui. Anche queste sono sfide per una “Chiesa in uscita”.

Gianni Borsa

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