“E subito lo Spirito lo spinse nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”.
Ventisette parole soltanto. Eppure dietro a questa breve e sommaria descrizione si nasconde un grande evento, che ci tocca direttamente. Quaranta giorni nel deserto. Quaranta come gli anni in cui il popolo d’Israele rimase nel deserto, “un lungo periodo di formazione – affermava Benedetto XVI – per diventare popolo di Dio”; un tempo in cui la tentazione dell’infedeltà verso l’alleanza con il Signore era sempre presente. Quaranta come i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere il monte Horeb, il monte di Dio.
E poi il deserto. Rappresenta la nostra vita, in un certo senso, con le sue difficoltà e le sue debolezze, con la nostra volontà di ascoltare e la nostra incapacità di resistere alle tentazioni. Il deserto è il luogo del silenzio, della povertà; il luogo dove l’uomo è solo, privato di tutto e bisognoso di tutto. È luogo di morte il deserto, non c’è acqua, non si può coltivare nulla, non c’è vita, e forse viene meno anche la speranza. Eppure è il luogo dove proprio l’essere privati di tutto porta ad affidarsi totalmente al Signore, diventando così il luogo del dialogo con Dio.
Non pensiamo solo al deserto presente in alcune aree geografiche; il deserto è anche nella nostra vita quotidiana, giornate tristi, senza amore e senza perdono. Giornate in cui non siamo capaci di avvicinare l’altro, di tendere la mano a chi chiede il nostro aiuto. Ma è proprio in questo deserto che facciamo la prova dell’ascolto della parola di Dio, quando ci troviamo a rispondere alla domanda di fondo: che cosa conta davvero nella mia vita? E quanto chiede Francesco dicendo di tenere lo sguardo rivolto alla Pasqua mentre attraversiamo il deserto quaresimale. Perché la Pasqua “è la vittoria definitiva di Gesù contro il Maligno, contro il peccato e contro la morte”.
E torna la parola deserto: “È il luogo dove si può ascoltare la voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca veramente il nostro destino, la vita o la morte”.
Nei nostri deserti rischiamo sempre più spesso di trovarci a fare i conti con le belve e i demoni della divisione, dell’invidia, dell’odio, della violenza, che rendono la vita sempre più dura e amara. È il nostro deserto quotidiano dal quale possiamo uscire, ed avere anche noi i nostri angeli cui guardare: sono i poveri che dobbiamo aiutare, sono i nostri fratelli e sorelle che dobbiamo amare. Il nostro deserto può diventare luogo abitato dalla bontà, dal perdono, dalla misericordia, dall’amore. “Il deserto quaresimale – dice Francesco all’Angelus – ci aiuta a dire no alla mondanità, agli ‘idoli’, ci aiuta a fare scelte coraggiose conformi al Vangelo e a rafforzare la solidarietà con i fratelli”.
Così quando invita a prendere un libricino, che regala per vivere meglio il tempo di Quaresima, tempo di prova e di conversione, ricorda che a distribuirlo ci sono un centinaio di persone senza tetto: “Come sempre anche oggi qui in piazza coloro che sono nel bisogno, sono loro stessi a portarci una grande ricchezza: la ricchezza della nostra dottrina, per custodire il cuore”. Prendere il libretto, è anche invito a cogliere che questo è il tempo della conversione e della crescita spirituale, “che parte sempre dal cuore: lì dove si gioca la partita delle scelte quotidiane tra bene e male, tra mondanità e Vangelo, tra indifferenza e condivisione. L’umanità ha bisogno di giustizia, di pace, di amore e potrà averle solo ritornando con tutto il cuore a Dio, che è la fonte di tutto questo”. Quaresima, tempo per correggere anche i “tanti difetti che tutti abbiamo, e fare fronte alle tentazioni che ogni giorno ci attaccano”, ricorda Francesco. Il tempo è compiuto, leggiamo ancora in Marco, e il Signore è con noi nel suo amore, nella sua misericordia, nella sua giustizia.
Fabio Zavattaro