In Italia si torna ad assumere. Vuoi perché è da almeno due anni che non lo fa più nessuno; vuoi perché si comincia a respirare profumo di ripresa e diverse aziende stanno già marciando a pieno ritmo; vuoi per le nuove, favorevolissime norme previste dal Jobs Act che proprio in questi giorni sta diventando pienamente operativo, ma fioccano da diverse parti d’Italia le notizie di nuove, corpose assunzioni.
Il segnale lo aveva dato Fiat, pardon: Fca, che ha bisogno di personale nelle nuove linee installate in Basilicata per la 500 X (e a nord viaggia a pieno ritmo la fabbrica dove si allestisce Maserati); poi Telecom e tante altre aziende – soprattutto del Nordest – che stanno cercando personale. Recentemente il governo ha parlato di 100-150mila nuove assunzioni nel corso del 2015, mentre il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si dichiara ancor più ottimista e “vede” numeri migliori già da questo primo semestre.
La scuola promette di assorbire più di 100mila nuovi assunti da sola: si discute invece se sia il caso di stabilizzare soprattutto chi oggi è precario, o di dare spazio invece al merito tramite concorsi.
Non è solo rosa, il quadro dipinto. Il 2014 si chiude con un calo del Pil che ci fa capire che il futuro sarà anche radioso, ma nel presente continua a piovere. Piove a dirotto nel settore bancario, dove nei prossimi anni tra un terzo e un quarto della forza lavoro dovrà trovarsi un nuovo posto: l’internet banking sta rottamando tantissimi dipendenti. Continua a piovere sull’edilizia, motore dell’economia. È vero che i mutui stanno crescendo di numero, ma si tratta soprattutto di sostituzioni (si cerca un tasso più basso); di gru nel cielo se ne vedono pochine ovunque. E l’edilizia trascina con sé tanti altri settori, dall’arredamento ai rivestimenti, dai materiali di costruzione ai macchinari…
La realtà è che il progresso tecnologico odierno distrugge più posti di lavoro di quanti ne crea. La questione è quindi quella di allargare il perimetro dell’economia, occuparsi di nuovi settori, non trascurarne nessuno. Ma pure il governo può e deve fare la sua parte: l’ha individuata in questi giorni nell’estensione della banda larga sulla quale viaggia internet, per portare questo Paese al livello dei suoi competitori occidentali. Anche qui si discute sul chi, come e quanto, ma l’indicazione è precisa, i fondi ci sarebbero, la necessità c’è invece con assoluta certezza.
Ci permettiamo di aggiungere un secondo filone di intervento pubblico, di stimolo all’economia su un problema che merita finalmente una soluzione e che darebbe sicuramente impulso all’occupazione: un Piano Marshall dedicato alle piccole opere pubblico, da qualche anno totalmente dimenticate.
Stiamo parlando di rifacimento di ponti; di scuole che costano più di quanto si spenderebbe a rifarle nuove, di opere ingegneristiche di protezione dai rischi ambientali (esondazione fiumi, frane, terremoti); di mega-collettori fognari; di moderni ospedali che permettano la chiusura dei tanti, piccoli e obsoleti di cui l’Italia è disseminata; di salvaguardia delle bellezze architettoniche… Tutti lavori certamente meno costosi di un’autostrada, dell’alta velocità ferroviaria o del ponte sullo Stretto; opere di medio calibro ora paralizzate dal Patto di stabilità che lega le mani agli enti pubblici. Ma sono tutti lavori vitali per la nostra società – si pensi ai disastri ambientali dove poi si spende per rattoppare – e per migliorare sia l’economia che la spesa pubblica.
Ripensiamo certamente il modo in cui fare queste opere per renderle più veloci, meno soggette a continui aumenti di spesa, meno “appetibili” per chi pascola con gli appalti pubblici. Ma quest’Italia non può permettersi di avere banda larga per connessioni a 100 mega, a fianco di ponti e scuole costruite nel Dopoguerra. Se vuole crescere, l’Italia deve crescere in maniera uniforme.
Nicola Salvagnin