L’Africa cresce / Occorre osservare con sincerità e senza pregiudizi il nuovo che avanza

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Il cambiamento è già in atto. Un recente studio di Goldman Sachs sulle previsioni di crescita di lungo termine dell’Africa Subsahariana stima un aumento annuo medio del Pil del 5% per i prossimi 10 anni. Nel frattempo, nella stragrande maggioranza dei Paesi africani vi è una fioritura di associazioni, gruppi e movimenti, molti dei quali d’ispirazione cristiana. E poi ci sono i giovani.Africa_subsahariana

L’Africa è davvero un pianeta anni luce distante dal nostro immaginario. Col risultato che la cosiddetta informazione “mainstream”, quella delle testate giornalistiche italiane e straniere, mette sempre in evidenza i mali che affliggono il continente, dimenticando che si tratta di una realtà estremamente complessa, in costante evoluzione, sia dal punto di vista sociale, come anche politico ed economico. È questo il messaggio forte che è stato lanciato durante i lavori di un convegno internazionale, svoltosi a Roma lo scorso weekend, promosso dai missionari comboniani, in occasione del 150mo anniversario della pubblicazione del Piano di Rigenerazione dell’Africa del santo Daniele Comboni. D’altronde, certi pregiudizi sulle Afriche – è meglio usare il plurale parlando di un continente grande tre volte l’Europa – retaggio dell’epoca coloniale, sono duri a morire e condizionano non poco l’immaginario collettivo a livello planetario.

Sta di fatto che l’Africa, al singolare o al plurale che dir si voglia, viene sempre e comunque percepita, soprattutto nei Paesi Occidentali, come una terra di conquista fatta di savane, deserti e foreste pluviali i cui popoli, per misteriose ragioni ancestrali, sarebbero istintivamente avversi alla mente razionale e al pensiero scientifico. Ecco che allora nella gerarchia dei saperi, l’Africa viene, ancora oggi, redarguita per le sue barbarie, quasi fosse irriducibilmente bocciata dalla Storia delle grandi civilizzazioni. Eppure, come ricorda sensatamente il grande storico Basil Davidson, queste idee costituiscono un serio pregiudizio che non giova alla causa del bene condiviso, ma semmai acuiscono il fraintendimento per cui si ha la presunzione di elaborare una conoscenza dell’altro che pregiudica l’incontro. A questo proposito sovviene un curioso aneddoto raccontato dallo stesso Davidson riguardante un etnografo tedesco e viaggiatore di nome Leo Frobenius. Questo distinto signore nel 1910 si trovava in Nigeria ed ebbe la fortuna di scoprire delle statuette di terracotta di rara bellezza e fattura. Frobenius non volle ammettere che quelle sculture fossero opera di artigiani dell’etnia youruba e s’inventò di sana pianta una teoria secondo cui i greci avrebbero colonizzato prima di Cristo le coste dell’Africa Occidentale, lasciando ai posteri quei volti umani che le popolazioni autoctone non avrebbero mai potuto concepire.
Si tratta dunque di andare decisamente al di là di certa mentalità coloniale quasi l’uomo bianco avesse bisogno d’inventare l’Africa con le sue affermazioni narcisistiche fondate sulla sua presunta superiorità. Non v’è dubbio che uno dei tratti caratteristici è quello della complessità, in un contesto geopolitico, economico e sociale in forte evoluzione. In effetti, in numerosi Paesi, si registra un’impennata significativa del Prodotto interno lordo (Pil) e un aumento dell’occupazione. Un recente studio di Goldman Sachs sulle previsioni di crescita di lungo termine dell’Africa Subsahariana stima un aumento annuo medio del Pil del 5% per i prossimi 10 anni. Nel frattempo, nella stragrande maggioranza dei Paesi africani vi è una fioritura di associazioni, gruppi e movimenti, molti dei quali d’ispirazione cristiana, che esprimono la determinazione della società civile a lottare contro l’esclusione sociale che penalizza i ceti meno abbienti e in difesa dei diritti umani. Purtroppo, il deficit di virtuosismo da parte delle leadership locali, associato a fenomeni come il “land grabbing” (l’accaparramento dei terreni da parte di imprese straniere) – con modalità diverse, a seconda dei Paesi – unitamente allo sfruttamento della manodopera a basso costo, sono fenomeni ben radicati.
Nel corso dei lavori del convegno, sono stati affrontati innumerevoli temi, legati soprattutto alla cooperazione tra Europa e Africa che, nel contesto generale della globalizzazione, assumono sempre più un valore strategico. Questo continente, è bene rammentarlo, nel 1960 contava circa 284 milioni di abitanti, mentre oggi sono oltre un miliardo (circa 1.123.800.000 abitanti). Se l’Italia fosse cresciuta allo stesso ritmo oggi gli italiani sarebbero 185 milioni! I numeri allora parlano chiaro. In Africa – in particolare quella Subsahariana – vi è una enorme popolazione giovanile (circa il 60% della popolazione con meno di 25 anni). Se da una parte vi è la responsabilità delle classi dirigenti locali di garantire loro studio e lavoro, dall’altra sono proprio i giovani che hanno le carte in regola per segnare la svolta. Il loro dinamismo e la loro perspicacia contano certamente più del Pil. D’altronde, come scriveva Plinio il Vecchio, “Ex Africa semper aliquid novi”, dall’Africa infatti arriva sempre qualcosa di nuovo.

 Giulio Albanese

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