La Procura di Milano ha chiuso le indagini contro Apple: secondo i Pm del capoluogo lombardo la Mela avrebbe evaso, in 5 anni, ben 879 milioni di euro di Ires. Se l’inchiesta si concludesse con una condanna, si tratterebbe della prima maxi-evasione fiscale accertata ai danni di Cupertino nel Vecchio Continente.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dai Pm Adriano Scudieri e Carlo Nocerino, parte da lontano: il fascicolo è stato ufficialmente aperto oltre tre anni fa. A condurre le indagini al fianco della Procura sono stati gli uomini della direzione regionale Lombardia dell’Agenzia delle Dogane e dell’Agenzia delle Entrate. L’indagine dei Pm sembrava, agli inizi, di dimensioni molto più ridotte: il reato contestato all’apertura era quello relativo all’articolo 3 del Decreto Legislativo 74 del 2000, dichiarazione dei redditi fraudolenta, e per un solo biennio (2010 e 2011). Gli approfondimenti, che hanno portato anche ad una perquisizione nella sede milanese della Apple e al sequestro di numeroso materiale informatico e telefonico, hanno convinto i magistrati ad ampliare la formulazione delle accuse. Il reato contestato è, quindi, diventato quello relativo all’articolo 5 sempre del Decreto legislativo 74/2000, omessa dichiarazione, e i due anni sono diventati cinque (2008-2013).
Secondo l’accusa, Apple avrebbe contabilizzato i profitti realizzati in Italia dalla multinazionale attraverso la società del Gruppo con sede in Irlanda; in questo modo, Cupertino avrebbe potuto beneficiare di una pressione fiscale molto più favorevole di quella nostrana. Il meccanismo è quello “classico”, usato anche da altre grandi multinazionali di Internet e che vede aperto un altro fascicolo, al momento contro ignoti, sempre presso la Procura di Milano. Il “trucco” è piuttosto semplice. Attualmente, secondo le norme europee, una compagnia può operare anche in paesi diversi da quelli in cui paga le tasse e così tutte le .com più importanti sono attive in Europa attraverso società con sede in Paesi con tassazione più favorevole (come ad esempio il Lussemburgo e l’Irlanda), che controllano piccole società, con al massimo un piccolo ufficio di rappresentanza, in ciascuno Stato europeo. In questo modo, le singole aziende locali vendono i loro prodotti o servizi a cittadini ed imprese di uno Stato, ad esempio l’Italia, attraverso la controllante che pagherà le tasse nel Paese dove è insediata, giustificandosi che la “produzione” non si trova in Italia.
Le indagini si sono chiuse con una richiesta di rinvio a giudizio contro tre manager di Apple: il legale rappresentante e l’amministratore delegato di Apple Italia Enzo Biagini, il direttore finanziario Mauro Cardaio ed il operation manager della irlandese Apple Sales International, Michael Thomas O’ Sullivan. Da Cupertino, ovviamente, respingono al mittente tutte le accuse. Così recita la dichiarazione stampa battuta alle Agenzie: “Apple è uno dei più grandi contribuenti al mondo e paghiamo ogni euro di tasse dovute ovunque operiamo. Le autorità fiscali italiane hanno sottoposto a verifiche fiscali le attività italiane di Apple nel 2007, 2008 e 2009 e hanno confermato che eravamo in piena conformità con i requisiti di documentazione e di trasparenza Ocse. Queste nuove accuse contro i nostri dipendenti sono completamente prive di fondamento e siamo fiduciosi che questo procedimento arriverà alla stessa conclusione”.
Antonio Rita