Il cinema ha sempre raccontato la famiglia, ora per metterne in evidenza la centralità e la positività, ora per accusarla come istituzione repressiva che va abbattuta. In questo senso, “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio del 1966 rimane un perfetto esempio: la storia di una famiglia che vive isolata in un casale e dove ogni membro ha qualche tara o fisica o psicologica. Il protagonista, infatti, vuole distruggerla per vivere la sua vita, indipendentemente dal resto dei familiari. Una pellicola che, naturalmente, è un manifesto morale e ideologico di quel Sessantotto che di lì a poco scoppierà in tutto il mondo e dove uno dei bersagli della rivolta giovanile sarà proprio l’istituto familiare e il padre.
Se, invece, pensiamo ad un film altrettanto celebre, “La vita è meravigliosa” di Frank Capra del 1946, abbiamo il perfetto esempio della prima tendenza. E cioè una visione in cui la famiglia è il nucleo fondamentale della società, da una parte, e il nucleo essenziale per la vita dell’individuo, dall’altra. Il protagonista lo capirà passando la notte di Natale con il suo angelo custode che gli mostrerà le bellezze e le positività della sua vita in famiglia e all’interno della società. L’uomo, prima deciso a suicidarsi per colpa di un problema economico, tornerà a casa a festeggiare il Natale con la moglie e la figlia.
Oggi la famiglia torna protagonista di un film francese, campione di incassi nel suo paese e, a differenza di molte pellicole contemporanee, è trattata con uno sguardo ottimista e positivo. Si tratta de “La famiglia Belier”, diretta da Erik Lartigau. Paula Bélier ha sedici anni e da altrettanti è interprete e voce della sua famiglia. Perché i Bélier, agricoltori della Normandia, sono sordi. Paula, che intende e parla, è il loro ponte col mondo: il medico, il veterinario, il sindaco e i clienti che al mercato acquistano i formaggi prodotti dalla loro azienda. Paula, divisa tra lavoro e liceo, scopre a scuola di avere una voce per andare lontano. Incoraggiata dal suo professore di musica, si iscrive al concorso canoro indetto da Radio France a Parigi. Indecisa sul da farsi, restare con la sua famiglia o seguire la sua vocazione, Paula cerca in segreto un compromesso impossibile.
Appoggiato su una sceneggiatura solida, che mescola con perfetta misura umorismo, lacrime, disfunzioni, pregiudizi e canzoni, “La famiglia Bélier” svolge una storia ben ordita in cui ciascun personaggio gioca la sua parte con effetto e sincerità, senza mai sconfinare nel pathos. Si racconta una famiglia che ha imparato a gestire la disabilità, intorno a quella difficoltà è cresciuta e su quella difficoltà si è impratichita. Una famiglia unita, solida, che è anche un punto di riferimento per la sua comunità (non a caso il capofamiglia decide di candidarsi alle elezioni da sindaco) e in cui i singoli membri comunicano fra loro (nonostante l’handicap della sordità) e si ascoltano a vicenda.
La tranquillità domestica viene rotta quando la figlia adolescente scopre il proprio dono: la sua voce, proprio ciò che i genitori e il fratello non potranno mai sentire ed apprezzare di lei. Lo scarto fra i desideri genitoriali e quelli della figlia è il normale travaglio di ogni famiglia quando i figli crescono e decidono di assecondare i propri sogni e le proprie attitudini, anche se sono molto distanti da quelle che i genitori avevano immaginato e sembrano incomprensibili. Ma una famiglia forte sa superare anche questo scoglio con l’amore incondizionato e il riconoscimento dell’altro per quello che è. Ed è quello che accadrà all’irresistibile famiglia Belier, il ritratto divertente ed emozionante di una moderna famiglia che nonostante la “disfunzionalità” dell’handicap, disfunzionale non lo è affatto, né emotivamente né socialmente.
Paola Dalla Torre